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lunedì 19 giugno 2023
Le Vele di Oniride
Quando nel panorama progressivo italiano si assistono ad esordi di ottima levatura estetico-tecnica, il melomane progressivo diversamente giovane come il sottoscritto se ne compiace abbondantemente. Tutto ciò per segnalare l'album di debutto "La Quadratura del Cerchio" https://leveledioniride.bandcamp.com/album/la-quadratura-del-cerchio della band imolese Le Vele di Oniride, pubblicato il 30 maggio 2023 dalla effervescente label Lizard Records http://www.lizardrecords.it/le-vele-di-oniride-la-quadratura-del-cerchio/
Abbiamo chiesto a Nello De Leo, compositore, chitarrista dell'ensemble di rispondere a qualche nostra domanda, a seguire il risultato della gradevole intervista.
Il nome, in realtà, è stato creato da Loris Furlan (Lizard), in quanto io gli inviai tre brani, abbastanza embrionali, e presentai la band col nome Ellephant, cioè il mio vecchio progetto (dal 2007 al 2012), che però aveva già come intento quello che poi si è tramutato ne Le Vele di Oniride, cioè la sperimentazione musicale senza confini, che secondo i miei ascolti è avvenuta per gran parte nel progressive, nel rock psichedelico e in altri contesti da cui spesso prendo spunto; giustamente Loris mi fece notare che facendo parte fondamentalmente della cultura prog, per di più in lingua italiana, un nome italiano e composto sarebbe stato molto più rappresentativo; lui ha visto nei nostri brani un viaggio (le vele) verso un mondo Onirico (oniride) ed ecco qui il nostro nome, che a me piacque da subito. Successivamente, ogni volta che creavamo un brano nuovo, io lo inviavo a Loris e, con la sua supervisione, siamo arrivati ai sette brani che trovate nell’album. Ci tengo a specificare che Loris è sempre intervenuto con dei consigli, soprattutto riguardo le sonorità, ma ci ha veramente lasciato tutta la libertà artistica possibile.
Ti chiedo di raccontarci sinteticamente la cifra stilistica di ogni singolo brano e il messaggio emozionale a esso associato, creando così una sorta di guida all’ascolto de “La quadratura del cerchio”….
Mi piace molto questa domanda perché uno dei motivi per cui cantiamo in italiano è che sono molto legato ai miei testi e vorrei che l’ascoltatore si soffermasse anche su di essi; alcuni di questi rappresentano fasi della mia vita superate, per fortuna, ma non per questo da eliminare.
SOGNI INFRANTI: Abbiamo creato un’intro
molto dilatata, per far comprendere all’ascoltatore in quale “dimensione” si
sarebbe trovato, inizialmente sospesa, poi serrata e a tratti dissonante; la
parte centrale è volutamente melodica, a tratti struggente, col testo che evoca
immagini volutamente “pesanti”; il finale ha anch’esso un ritmo serrato e
un’atmosfera space rock.
L’ILLUSIONE DELL’OBLIO: L’intro,
decisamente più corta della precedente, è più ritmica e offre lo slancio alla
parte cantata, anch’essa abbastanza ritmata e dura; il testo parla di ciò che
spesso la vita crea a livello emotivo, un connubio di emozioni contrastanti,
come fanno le onde e che spesso il voler trovare una propria “isola felice” o
semplicemente uno stato distaccato di abbandono (oblio) sia semplicemente
un’illusione; la parte psichedelica centrale, che poi però torna al ritmo
serrato vuole evocare questo e l’oblio si trasforma quasi in una resa, col
finale direi “pesante”, ma a livello emotivo e non come sonorità (una sorta di
accettazione direi).
CATARSI: Questo brano lo definirei come
quello dalla tematica leggera, in quanto descrive l’incontro di due amanti in
un luogo primordiale, la foresta, dove hanno cercato invano un riparo dalla
pioggia per poi addormentarsi; questa avventura viene vissuta dai due come n
rito purificatorio, un richiamo ai sensi. L’intro, che verrà ripresa
nell’outro, è radiosa ed evocativa, mentre la parte centrale, dove si svolge la
gran parte del testo, la definirei “toccante”.
APOLOGIA DI REATO: Qui siamo in presenza
di un riff rabbioso, con stacchi centrali che rafforzano l’idea del testo, dove
l’autore è sorpreso di aver ferito una persona semplicemente per averle detto
la verità; la parte psichedelica centrale, in questo caso, vuole rappresentare
il dilemma della persona confusa per aver ricevuto la verità (come se si
chiedesse se non fosse stato meglio ricevere una bugia, che però non avrebbe
portato ad alcuna sofferenza).
ISOLAZIONE: Il brano inizia con un riff
di chitarra che porta l’ascoltatore all’unica forma-canzone in senso classico
dell’album (strofa-ritornello); il testo vuole essere una riflessione sul fatto
che spesso ci si trovi in mezzo ad una moltitudine di persone, ma che non ci si
senta a proprio agio, in quanto massa incosciente, mentre l’autore non vuole
accettare tutto questo; l’unica soluzione è l’isolazione, termine tra l’altro
desueto e che quindi rappresenta con maggior forza il concetto (isolamento è
più tipico, mentre isolazione viene più usato per gli oggetti).
MADRI DI NIENTE, FIGLI DI NESSUNO:
Questo è il brano più hard-prog dell’album, con un riff incalzante che porta il
cantato ad una sorta di copione già pensato per ogni persona (scritto dalla
vita in senso ampio, dai familiari, ai professori, ai politici…);
successivamente il brano va verso una sonorità esotica per poi concludersi con
un arpeggio abbastanza inquietante, dove la voce recitata viene “catturata” in
un senso d' impotenza.
MIRAGGI REMOTI: Questo brano riprende il
tema di ISOLAZIONE, anche se la sonorità è più sospesa e nel finale del testo
l’autore esprime la volontà di farcela, anche con un aiuto dall’alto (unico
richiamo “mistico” dell’album); il finale ci porta in una specie di corsa
serrata ed emotiva, sostenuta da un arpeggio di chitarra, un assolo e la voce a
chiudere.
L’album, fin dal primo ascolto, presenta ghiottonerie per i melomani progressivi di lunga data, un uso cromatico ed espressivo strumentale affiancato a testi davvero efficaci e profondi, sei soddisfatto del risultato finale o potendo cambieresti delle cose?
I
ripensamenti e gli aggiustamenti del
post produzione ci sono sempre, perché ogni cosa può essere fatta meglio, ma
nel complesso sono molto soddisfatto di tutto il risultato e mi piace pensare
che il lavoro “perfetto” non sia adatto alla natura dell’essere umano e
cozzerebbe in parte anche con i miei testi.
Quando una penna illustre come Gianni Della Cioppa afferma che siete “ …il punto d’incontro tra Il Biglietto per l’Inferno e la Premiata Forneria Marconi …quando la melodia del prog incontra gli spigoli del dark-rock, si aprono Le Vele di Oniride che sfidano i mari della banalità…” cosa ti viene da pensare?
Intanto
che non avrei mai pensato che una penna così illustre scrivesse così di noi e
ne sono veramente onorato; in generale mi sento onorato e un po’ a disagio ad
essere accostato a dei “mostri sacri”
che ho sempre ascoltato.
In questo tempo connotato da un tipo di società “liquida” che ha, tra le peculiarità, quella dell’ascolto di musica legato alla quantità di streaming e di like, quanto è impegnativo debuttare pubblicando un CD e suonando un genere “di nicchia” come il rock-progressive?
È
molto impegnativo, anche perché talvolta le persone non comprano il CD proprio
perché non hanno più un supporto su cui ascoltarlo; a questo si somma la
mentalità (direi molto italiana) che se una cosa è gratis su altre piattaforme,
perché bisognerebbe pagarla? Un po’ come se si concepisse il CD almeno come un
oggetto fisico e tangibile, per cui vale la pena l’acquisto, mentre il download
no, anche se magari l’album piace e viene ascoltato.
Cosa provi nel comporre e suonare con Le Vele di Oniride?
Quando compongo entro nella parte più
intima di me, quella che ha bisogno di una catarsi, proprio per citare un mio
titolo, quindi è per me una questione a metà tra il mistico e il terapeutico;
successivamente avviene l’atto pratico di portare questa “creatura” nei suoni
reali e mi piace l’idea che ogni componente della band possa restituirmi una
propria versione di qualcosa che, fino a quel momento, era molto personale.
Parlando un po’ di te, come mai sei diventato un musicista? quando è scattata la scintilla per accostarti ad Euterpe, la dea della musica?
Da
bambino ascoltavo molta musica, in ogni momento, perché la ritenevo un’esigenza
vitale, anche se mi sono dovuto arrangiare per tanti anni riguardo la didattica,
perché nell’ambiente in cui sono cresciuto la musica, e la cultura in generale,
non sono mai state contemplate; ogni volta che trovavo una chitarra o una
tastiera, chiedevo a chi sapesse suonare qualche indicazione, poi ho iniziato
ad usare le mie paghette per fare delle lezioni, con una chitarra in prestito
e, successivamente, misi da parte dei soldi (facendo anche qualche lavoretto) e
a quattordici anni comprai una chitarra elettrica e iniziai a suonare con quelle poche
nozioni che sapevo. Successivamente, andando a lavorare, iniziai a prendere
lezioni più seriamente, a comprare strumenti adeguati e a mettere da parte il
più possibile per potermi iscrivere al Conservatorio.
Hai studiato e ti sei laureato al conservatorio in chitarra jazz, in confidenza qual è il tipo di musica che ti piace maggiormente suonare?
Mi sono laureato in jazz perché gli indirizzi al Conservatorio sono solamente Jazz o Musica Classica e ciò avrebbe comportato un cambio di impostazione per la chitarra (tra l’altro io sono mancino e suono da destro, quindi già questo è stato per me un adattamento forte); in realtà avrei comunque scelto il jazz, in quanto ho sempre adorato Pat Metheny e Miles Davis, però, se dovessi scegliere, suonerei sempre e solo Rock, soprattutto nelle sue forme più sperimentali, che è poi la mentalità che mi ha portato a creare questa band e quelle passate che ho avuto.
Se ti dico jam session , cosa mi rispondi?
Mettersi
in gioco senza conoscersi; la considero un po’ come quando da bambino andavi al
parco e non sapevi con chi avresti giocato, ma alla fine ti saresti divertito.
Tu sei insegnante di chitarra, a tuo avviso quali sono le peculiarità che deve avere un buon chitarrista?
Io
ho sempre concepito l’essere chitarrista e l’essere insegnante come due strade
parallele, perché naturalmente in entrambi i casi bisogna saper suonare
abbastanza bene, però il musicista deve avere come obiettivo se stesso, in modo
anche in parte egoistico, perché deve toccare in fondo alle proprie emozioni
per poter comunicare con gli altri un messaggio puro e onesto, mentre
l’insegnante deve mettere al centro l’allievo, perché è lui il protagonista;
secondo me c’è sempre stata molta disonestà e opportunismo in questo senso,
perché la gran parte degli insegnanti di strumento è formata semplicemente da
musicisti che si sono “parcheggiati” in una scuola, ma nel mentre sperano
continuamente di poter “sfondare” con la musica suonata e abbandonare gli
allievi il prima possibile (questo lo dico perché ho fondato una scuola di
musica e queste dinamiche le vedo costantemente); il risultato è che un allievo
spesso si trova di fronte ad un insegnante frustrato che parla di sé e non
dell’allievo; ad ogni modo, la mia fortuna è stata quella di incontrare alcuni
ottimi insegnanti in Conservatorio che sapevano benissimo scindere le due
carriere e sono stati per me l’esempio migliore.
Tornando alle Vele di Oniride, progetti futuri?
Suoneremo a Porretta Prog il 6 agosto, poi siamo d’accordo con Loris per la realizzazione di una cover (sorpresa) ed io personalmente sto già pensando al secondo album.
In ascolto il teaser dell'album
giovedì 8 giugno 2023
Parafulmini: Incubini (Tiny nightmares)
SeddoK
lunedì 5 giugno 2023
Giant the Vine: A Chair at the Backdoor
La band genovese dei Giant the Vine, dopo lo splendido esordio, di cui parlammo anche su questo blog http://progressivedelnuovomillennio.blogspot.com/search?q=giant+the+vine, ha recentemente pubblicato il secondo album " A Chair at the Backdoor" per la label indipendente Luminol Records http://www.luminolrecords.com
Fabio, puoi raccontarci , in sintesi, la storia del gruppo per chi ancora non vi conosce?
Glass è una dei 12
brani preparati per Music for Empty Places, nonostante sia un pezzo semplice,
non eravamo riusciti a farla suonare come avremmo voluto e fa riferimento alla
fragilità di alcune certezze.
The Potter’s Field è nata durante il lockdown, quando arrivavano le immagini di Hart
Island e del campo del vasaio. E’ una canzone tetra, sulla morte dei non amati,
rappresentata molto bene da Inès Lendinez, sulla cover del disco, mediante un
cuore nero appeso a una catena.
Jellyfish Bowl rappresenta il vuoto a cui rivolgiamo lo sguardo decine di volte, nel
corso della giornata in cerca di distrazione. Musicalmente parlando,
l’intenzione iniziale era quella di trasmettere l’emozione che proviamo
ascoltando alcuni brani di Sakamoto o Morricone. Non siamo riusciti nel nostro
intento, ma è venuto un bel pezzo lo stesso.
The Heresiarch e Inner Circle nascono come un unico brano riferito ai padri di alcune eresie, come Dolcino o Marcione, e alla loro fine. Il brano che chiude e dà il titolo all’album è stato un vero parto, abbiamo impiegato mesi, se non anni, per arrivare alla forma definitiva. Il titolo è tratto dal primo verso di Myrrhman dei Talk Talk. Questa immagine evoca pensieri diversi: la paura che qualcuno possa entrare dalla porta sul retro, la confidenza di chi usa l’ingresso secondario o il far entrare un ospite dal retro per non farlo notare.
Nel presentare questo disco avete scritto che ha “un nuovo sound, più maturo e consapevole, in cui la poliedricità di Steven Wilson sembra incontrare la profondità di Thom Yorke e Mogwai”, puoi approfondire questo concetto?
Con il dovuto
rispetto per Wilson e Yorke, forse possiamo dire che il primo ha scritto dei
capolavori nell’ambito di un genere perfettamente definito. Yorke ha scritto
dei capolavori senza preoccuparsi di dove andassero collocati. I Giant the Vine
partono dal Progressive Rock, ma ambiscono a svincolarsi da certi stilemi che
lo caratterizzano da oltre 50 anni.
Il precedente album ricevette numerosi lodi a livello di critica musicale, credi che il nuovo lavoro, che personalmente trovo ottimo, possa ricevere altrettanti attestati di stima?
Beh lo spero,
lo speriamo tutti e 4, certamente. Questa volta, però, ci piacerebbe avere
anche la possibilità di farlo conoscere, di farlo ascoltare, e di suonarlo il
più possibile.
Quanto è differente “raccontare una storia” attraverso un brano totalmente strumentale rispetto a composizioni che hanno testo e musica?
Per certi
aspetti è più facile, perché un brano strumentale consente una narrazione più
snella e più simile a un’immagine. L’ascolto di The Potter’s Field non può, di
per sè, evocare il cimitero di Hart Island, ma la combinazione tra la musica e
il titolo, e il ricordo delle immagini che arrivavano dagli USA durante il
lockdown, danno un’idea del nostro stato d’animo di quel periodo.
Nel frattempo c’è stato un cambio di etichetta, siete passati da Lizard Records a Luminol Records, puoi spiegarci questo avvicendamento?
Non è stata una nostra scelta. Lizard non era interessata al nostro secondo album mentre Luminol lo era. A ben guardare, questo ha corrisposto a una evoluzione nel nostro modo di comporre. Abbiamo preso le distanze da certo Prog degli anni 70 per avvicinarci a (certo) post rock. Non arriviamo ai brani monolitici dei Mogway o We Lost the Sea, ma non facciamo neppure i soli di moog.
Cosa si prova a suonare con i Giant the Vine e soprattutto con la propria figlia Ilaria?
Ti propongo un gioco, usa una metafora o solamente un aggettivo per descrivere ogni componente della band…
Difficile. Siamo 4 nerd che parlano solo di musica.
Altro momento ludico, se ti proponessero di suonare con un musicista attualmente in attività chi sceglieresti e come mai?
Nessun
dubbio: Richard Barbieri !
Il futuro cosa riserva ai Giant the Vine?