Rikard Sjoblom (Beardfish)

Rikard Sjoblom (Beardfish)
“La luce sul Prog non si è mai spenta, è stata solo offuscata in attesa di nuova energia dal risveglio delle coscienze....”. (Mauro Pini)

lunedì 19 giugno 2023

Le Vele di Oniride

Quando nel panorama progressivo italiano si assistono ad esordi di ottima levatura estetico-tecnica, il melomane progressivo diversamente giovane come il sottoscritto se ne compiace abbondantemente. Tutto ciò per segnalare l'album di debutto  "La Quadratura del Cerchio" https://leveledioniride.bandcamp.com/album/la-quadratura-del-cerchio della band imolese Le Vele di Oniride,  pubblicato il 30 maggio 2023 dalla effervescente label Lizard Records http://www.lizardrecords.it/le-vele-di-oniride-la-quadratura-del-cerchio/


Abbiamo chiesto a Nello De Leo, compositore, chitarrista dell'ensemble di rispondere a qualche nostra domanda, a seguire il risultato della gradevole intervista.


Nello, puoi narrarci la genesi relativa al progetto de Le Vele di Oniride partendo proprio dalla fantasiosa scelta del nome del gruppo  e come siete giunti alla realizzazione del disco?

Il nome, in realtà, è stato creato da Loris Furlan (Lizard), in quanto io gli inviai tre brani, abbastanza embrionali, e presentai la band col nome Ellephant, cioè il mio vecchio progetto (dal 2007 al 2012), che però aveva già come intento quello che poi si è tramutato ne Le Vele di Oniride, cioè la sperimentazione musicale senza confini, che secondo i miei ascolti è avvenuta per gran parte nel progressive, nel rock psichedelico e in altri contesti da cui spesso prendo spunto; giustamente Loris mi fece notare che facendo parte fondamentalmente della cultura prog, per di più in lingua italiana, un nome italiano e composto sarebbe stato molto più rappresentativo; lui ha visto nei nostri brani un viaggio (le vele) verso un mondo Onirico (oniride) ed ecco qui il nostro nome, che a me piacque da subito. Successivamente, ogni volta che creavamo un brano nuovo, io lo inviavo a Loris e, con la sua supervisione, siamo arrivati ai sette brani che trovate nell’album. Ci tengo a specificare che Loris è sempre intervenuto con dei consigli, soprattutto riguardo le sonorità, ma ci ha veramente lasciato tutta la libertà artistica possibile.

Ti chiedo di raccontarci sinteticamente la cifra stilistica di ogni singolo brano e il messaggio emozionale a esso associato, creando così una sorta di guida all’ascolto de  “La quadratura del cerchio”….

Mi piace molto questa domanda perché uno dei motivi per cui cantiamo in italiano è che sono molto legato ai miei testi e vorrei che l’ascoltatore si soffermasse anche su di essi; alcuni di questi rappresentano fasi della mia vita superate, per fortuna, ma non per questo da eliminare.

SOGNI INFRANTI: Abbiamo creato un’intro molto dilatata, per far comprendere all’ascoltatore in quale “dimensione” si sarebbe trovato, inizialmente sospesa, poi serrata e a tratti dissonante; la parte centrale è volutamente melodica, a tratti struggente, col testo che evoca immagini volutamente “pesanti”; il finale ha anch’esso un ritmo serrato e un’atmosfera space rock.

L’ILLUSIONE DELL’OBLIO: L’intro, decisamente più corta della precedente, è più ritmica e offre lo slancio alla parte cantata, anch’essa abbastanza ritmata e dura; il testo parla di ciò che spesso la vita crea a livello emotivo, un connubio di emozioni contrastanti, come fanno le onde e che spesso il voler trovare una propria “isola felice” o semplicemente uno stato distaccato di abbandono (oblio) sia semplicemente un’illusione; la parte psichedelica centrale, che poi però torna al ritmo serrato vuole evocare questo e l’oblio si trasforma quasi in una resa, col finale direi “pesante”, ma a livello emotivo e non come sonorità (una sorta di accettazione direi).

CATARSI: Questo brano lo definirei come quello dalla tematica leggera, in quanto descrive l’incontro di due amanti in un luogo primordiale, la foresta, dove hanno cercato invano un riparo dalla pioggia per poi addormentarsi; questa avventura viene vissuta dai due come n rito purificatorio, un richiamo ai sensi. L’intro, che verrà ripresa nell’outro, è radiosa ed evocativa, mentre la parte centrale, dove si svolge la gran parte del testo, la definirei “toccante”.

APOLOGIA DI REATO: Qui siamo in presenza di un riff rabbioso, con stacchi centrali che rafforzano l’idea del testo, dove l’autore è sorpreso di aver ferito una persona semplicemente per averle detto la verità; la parte psichedelica centrale, in questo caso, vuole rappresentare il dilemma della persona confusa per aver ricevuto la verità (come se si chiedesse se non fosse stato meglio ricevere una bugia, che però non avrebbe portato ad alcuna sofferenza).

ISOLAZIONE: Il brano inizia con un riff di chitarra che porta l’ascoltatore all’unica forma-canzone in senso classico dell’album (strofa-ritornello); il testo vuole essere una riflessione sul fatto che spesso ci si trovi in mezzo ad una moltitudine di persone, ma che non ci si senta a proprio agio, in quanto massa incosciente, mentre l’autore non vuole accettare tutto questo; l’unica soluzione è l’isolazione, termine tra l’altro desueto e che quindi rappresenta con maggior forza il concetto (isolamento è più tipico, mentre isolazione viene più usato per gli oggetti).

MADRI DI NIENTE, FIGLI DI NESSUNO: Questo è il brano più hard-prog dell’album, con un riff incalzante che porta il cantato ad una sorta di copione già pensato per ogni persona (scritto dalla vita in senso ampio, dai familiari, ai professori, ai politici…); successivamente il brano va verso una sonorità esotica per poi concludersi con un arpeggio abbastanza inquietante, dove la voce recitata viene “catturata” in un senso d' impotenza.

MIRAGGI REMOTI: Questo brano riprende il tema di ISOLAZIONE, anche se la sonorità è più sospesa e nel finale del testo l’autore esprime la volontà di farcela, anche con un aiuto dall’alto (unico richiamo “mistico” dell’album); il finale ci porta in una specie di corsa serrata ed emotiva, sostenuta da un arpeggio di chitarra, un assolo e la voce a chiudere.    

L’album, fin dal primo ascolto, presenta ghiottonerie per i melomani progressivi di lunga data, un uso cromatico ed espressivo strumentale affiancato a testi davvero efficaci e profondi, sei soddisfatto del risultato finale o potendo cambieresti delle cose?

I ripensamenti  e gli aggiustamenti del post produzione ci sono sempre, perché ogni cosa può essere fatta meglio, ma nel complesso sono molto soddisfatto di tutto il risultato e mi piace pensare che il lavoro “perfetto” non sia adatto alla natura dell’essere umano e cozzerebbe in parte anche con i miei testi.

Quando una penna illustre come Gianni Della Cioppa afferma che siete “ …il punto d’incontro tra Il Biglietto per l’Inferno e la Premiata Forneria Marconi …quando la melodia del prog incontra gli spigoli del dark-rock, si aprono Le Vele di Oniride che sfidano i mari della banalità…” cosa ti viene da pensare?

Intanto che non avrei mai pensato che una penna così illustre scrivesse così di noi e ne sono veramente onorato; in generale mi sento onorato e un po’ a disagio ad essere accostato a dei “mostri  sacri” che ho sempre ascoltato.



In questo tempo connotato da un tipo di società “liquida” che ha, tra le peculiarità,  quella dell’ascolto di musica legato alla quantità di streaming e di like,  quanto è impegnativo debuttare pubblicando un CD e suonando un genere “di nicchia” come il rock-progressive?

È molto impegnativo, anche perché talvolta le persone non comprano il CD proprio perché non hanno più un supporto su cui ascoltarlo; a questo si somma la mentalità (direi molto italiana) che se una cosa è gratis su altre piattaforme, perché bisognerebbe pagarla? Un po’ come se si concepisse il CD almeno come un oggetto fisico e tangibile, per cui vale la pena l’acquisto, mentre il download no, anche se magari l’album piace e viene ascoltato. 

Cosa provi nel comporre e suonare con Le Vele di Oniride?

Quando compongo entro nella parte più intima di me, quella che ha bisogno di una catarsi, proprio per citare un mio titolo, quindi è per me una questione a metà tra il mistico e il terapeutico; successivamente avviene l’atto pratico di portare questa “creatura” nei suoni reali e mi piace l’idea che ogni componente della band possa restituirmi una propria versione di qualcosa che, fino a quel momento, era molto personale.

Parlando un po’ di te, come mai sei diventato un musicista? quando è scattata la scintilla per accostarti ad Euterpe, la dea della musica?

Da bambino ascoltavo molta musica, in ogni momento, perché la ritenevo un’esigenza vitale, anche se mi sono dovuto arrangiare per tanti anni riguardo la didattica, perché nell’ambiente in cui sono cresciuto la musica, e la cultura in generale, non sono mai state contemplate; ogni volta che trovavo una chitarra o una tastiera, chiedevo a chi sapesse suonare qualche indicazione, poi ho iniziato ad usare le mie paghette per fare delle lezioni, con una chitarra in prestito e, successivamente, misi da parte dei soldi (facendo anche qualche lavoretto) e a quattordici anni comprai una chitarra elettrica e iniziai a suonare con quelle poche nozioni che sapevo. Successivamente, andando a lavorare, iniziai a prendere lezioni più seriamente, a comprare strumenti adeguati e a mettere da parte il più possibile per potermi iscrivere al Conservatorio.

Hai studiato e ti sei laureato al conservatorio in chitarra jazz, in confidenza qual è il tipo di musica che ti piace maggiormente suonare?

Mi sono laureato in jazz perché gli indirizzi al Conservatorio sono solamente Jazz o Musica Classica e ciò avrebbe comportato un cambio di impostazione per la chitarra (tra l’altro io sono mancino e suono da destro, quindi già questo è stato per me un adattamento forte); in realtà avrei comunque scelto il jazz, in quanto ho sempre adorato Pat Metheny e Miles Davis, però, se dovessi scegliere, suonerei sempre e solo Rock, soprattutto nelle sue forme più sperimentali, che è poi la mentalità che mi ha portato a creare questa band e quelle passate che ho avuto.

Se ti dico jam session , cosa mi rispondi?

Mettersi in gioco senza conoscersi; la considero un po’ come quando da bambino andavi al parco e non sapevi con chi avresti giocato, ma alla fine ti saresti divertito.

Tu sei insegnante di chitarra, a tuo avviso quali sono le peculiarità che deve avere un buon chitarrista?

Io ho sempre concepito l’essere chitarrista e l’essere insegnante come due strade parallele, perché naturalmente in entrambi i casi bisogna saper suonare abbastanza bene, però il musicista deve avere come obiettivo se stesso, in modo anche in parte egoistico, perché deve toccare in fondo alle proprie emozioni per poter comunicare con gli altri un messaggio puro e onesto, mentre l’insegnante deve mettere al centro l’allievo, perché è lui il protagonista; secondo me c’è sempre stata molta disonestà e opportunismo in questo senso, perché la gran parte degli insegnanti di strumento è formata semplicemente da musicisti che si sono “parcheggiati” in una scuola, ma nel mentre sperano continuamente di poter “sfondare” con la musica suonata e abbandonare gli allievi il prima possibile (questo lo dico perché ho fondato una scuola di musica e queste dinamiche le vedo costantemente); il risultato è che un allievo spesso si trova di fronte ad un insegnante frustrato che parla di sé e non dell’allievo; ad ogni modo, la mia fortuna è stata quella di incontrare alcuni ottimi insegnanti in Conservatorio che sapevano benissimo scindere le due carriere e sono stati per me l’esempio migliore.

Tornando alle Vele di Oniride, progetti futuri?

Suoneremo a Porretta Prog il 6 agosto, poi siamo d’accordo con Loris per la realizzazione di una cover (sorpresa) ed io personalmente sto già pensando al secondo album.

In ascolto il teaser dell'album



Nessun commento:

Posta un commento