Non
siamo soliti, su questo blog, dare spazio a novità librarie ma per il saggio in
questione "Suite Rock: il prog tra passato e futuro"
(Graphofeel Edizioni) di Athos Enrile e Oliviero Lacagnina facciamo volentieri un'eccezione.
Tutto questo perché è un libro che offre notevoli stimoli a intenditori e non, affrontando con perizia tecnica e afflato divulgativo le molteplici sfaccettature precipue del progressive o rock sinfonico com’era chiamato una volta, sottolineatura di Luciano Boero ( La Locanda delle fate) nella prefazione.
Abbiamo così rivolto alcune domande ad uno degli autori, Athos Enrile ( nella foto), che ci ha risposto con entusiasmo e competenza.
Saggi
relativi al rock progressivo ve ne sono molteplici in circolazione, ci puoi
riassumere l’idea primigenia che ti ha stimolato per scrivere il libro?
Non
è stata una mia idea ma l’offerta è arrivata da Oliviero Lacagnina, maestro ed
ex tastierista dei Latte e Miele che, avendo avuto richiesta specifica dalla
responsabile della sezione musica della casa editrice Graphofeel, mi ha
coinvolto.
Conosco
personalmente Oliviero da una decina di anni ma sono legato a lui da molto più
tempo, essendo stato tra i primi musicista che vidi dal vivo quando ero
adolescente; parlo del mio concerto di iniziazione che corrisponde ad una
performance dei Latte e Miele che, quel lontano 30 maggio del 1972, aprivano
per i Van der Graaf Generator. Amicizia e riconoscenza a parte, non ho
immediatamente intravisto la necessità di aggiungere altro all’argomento
“prog”, già trattato in tutte le salse.
Non
mi faccio mai pregare quando si tratta di scrivere, soprattutto di musica, ma
il tutto deve avere una finalità, un obiettivo preciso, insomma, deve essere
utile per qualcuno, almeno potenzialmente, e l’argomento generico “prog” non mi
pareva potesse avere queste caratteristiche. Mi
sono convinto e motivato quando ho realizzato che dovevamo disegnare un
percorso per neofiti, non necessariamente giovani, qualcosa di didattico che
non trattasse tutto l’esistente ma lanciasse il seme che avrebbe dovuto essere
raccolto da chi risultasse curioso. Ho
preparato un lay out che temporalmente partisse dall’era beat e arrivasse ai
giorni nostri, trattando topics disparati che si soffermassero non solo
sull’elemento musicale ma anche sulla storia, sulla cultura, sull’analisi della
società e su aspetti collaterali che difficilmente si trattano in questi casi. Dalla
divisione dei compiti tra me e Oliviero è uscito un volume decisamente più
ampio rispetto al target, ma Graphofeel ha deciso di non effettuare tagli,
ritenendo che lo sfoltimento avrebbe danneggiato il saggio, ed è stato questo
un elemento di grossa soddisfazione.
Nel testo, trentaquattro paragrafi
-introduzione e ringraziamenti inclusi- per 420 pagine c’è davvero un mare
magno di informazioni, una eterogeneità di argomenti con il fil rouge del rock
progressivo che è poi l’ingrediente basico per ogni intervento. Ci sono pagine
di cui sei più fiero? Con il senno di poi, a distanza di qualche mese dalla
pubblicazione del saggio, c’è qualcosa che vorresti variare/aggiungere
all’opera editoriale?
Lo
ritengo completo e non migliorabile dal punto di vista concettuale, è proprio
quello che io e Oliviero volevamo e ho una piccola conferma dal fatto che il
figlio di un amico scrittore l’ha utilizzato per i suoi studi, misura di una
certa efficacia didattica.
Non
l’ho più riletto, come accaduto per gli altri libri scritti, sicuro di trovare
spiacevoli refusi che possono capitare, ma rivisito spesso l’indice per prepararmi
alle varie interviste e ogni volta trovo soddisfazione davanti a tanta
esaustività.
Purtroppo,
non c’è stata la possibilità di effettuare presentazioni in presenza, quelle
che permettono una maggiore condivisione, ma possiamo ancora rifarci.
Per
rispondere alla prima parte della tua domanda, mi ha dato molta soddisfazione
proporre alcune parti che difficilmente si affrontano nei saggi musicali, come
il rito del vinile di antica memoria, alcuni aspetti legati alla sicurezza -
come l’ipoacusia dovuta ad eccesso di suono/rumore -, qualche concetto
estremamente personale legato al connubio tra liriche e musica attraverso leggi
della termodinamica e la proposizione di esercitazioni “scolastiche” che mi
hanno sempre dato grosse gratificazioni e che così posso condividere.
È noto che per te il gioco di
squadra ha un valore fondamentale: della serie il tutto è più della somma delle
sue parti, per questa esperienza editoriale come ha funzionato e ti senti
soddisfatto del risultato?
Il mio pallino del lavoro in team non è un
vezzo ma è frutto della conoscenza della sua forza, verificata a più riprese
sia in ambito professionale che ludico. In questo caso abbiamo applicato
la regola che ha caratterizzato MAT 2020 nel corso della sua lunga
esistenza. La logica utilizzata è stata quella di far parlare gli esperti
di argomenti specifici, quindi i capitoli sulla radio, sulla fotografia, sul
giornalismo, sulle sostanze stupefacenti, sulle case discografiche o su
strumentisti/strumenti nel prog, tanto per fare qualche esempio, hanno visto
all’opera chi aveva ruolo ed esperienza per poter affrontare i vari argomenti.
Il
lavoro in squadra richiede capacità organizzativa, cosa che ho affinato nel
tempo, motivato dai risultati sorprendenti che derivano dalla suddivisione dei
compiti con persone di fiducia. Anche in questo caso tutto ha funzionato al
meglio, almeno dal punto di vista della costruzione, nella speranza che lo
sforzo possa essere avvertito e apprezzato anche dall’esterno.
La prima mitica copertina del magazine on line Mat 2020
Tu hai un background giornalistico
musicale che offre un importante fianco al ricordo, giacché sia nel tuo blog, sia
nel magazine on line Mat 2020 che da poco ha chiuso i battenti, offri con
grande rispetto una descrizione degli eventi che si susseguono. Quanto è
importante, parafrasando “Per quando noi non ci saremo” di gucciniana memoria,
lasciare una traccia scritta?
Scrivere
un libro sembra a volte un’azione egoistica, quantomeno narcisista. Io ho
adottato nel tempo un modus operandi che mi porta a commentare ogni tipo di
evento a cui partecipo, non importa la sua dimensione. Posso dire che grazie a
me, da molti anni, esistono articoli - con tanto di foto e testimonianza video
- che rimarranno per sempre; questo non mi porta denaro, gloria, né altri
benefici, ma risponde alla mia esigenza primaria che da anni mi spinge a
condividere le cose musicali, una sorta di missione, che di certo non mi
manderà in Paradiso, ma mi mette la coscienza a posto, un omaggio alla MUSICA a
minima compensazione di quanto LEI ha dato a me.
Ci
sono poi aspetti storici e culturali che vanno salvaguardati. Io spingo
sempre gli artisti che conosco - quelli magari più avanti con gli anni - a
trovare il modo e il tempo per rovesciare la loro memoria su di un foglio di
carta/elettronico, perché in caso contrario ciò che hanno vissuto andrà perso
per sempre, e non si tratta solo di “canzonette”.
Mi
viene in mente il mio amico Fico Piazza, tra I QUELLI e la PFM, passando per
Lucio Battisti: una volta mi ha raccontato che alla fine della registrazione di
“Emozioni”, del Lucio nazionale - a cui lui partecipò come bassista - si era
creata una atmosfera particolare e tutti avevano le lacrime agli occhi: ecco,
queste cose, che appaiono minuscole ma non lo sono, andranno perse per sempre
se non sarà lasciata traccia scritta e non credo sia il caso di rischiare!
Giorgio "Fico" Piazza
Il
prog ha una storia articolata ed è un genere che alcuni detestano a priori,
altri lo amano profondamente. Hai sempre dichiarato - anche nella introduzione
del libro - che a prescindere dalle catalogazioni dividi la musica tra quella
che ti piace e tutto il resto, quali sono i criteri che ti fanno apprezzare un
brano e quali sono quelli che te lo fanno “respingere” dal tuo
gradimento?
Non sono in grado di affrontare
l’argomento usando la razionalità, perché il gradimento sonoro esula da ogni
tipo di ragionamento e alla fine ci si chiede come mai basti un minuto di una
canzone per farla propria per sempre, mentre altre non riescono a superare
alcun esame multiplo. Trovo sia un po' come l’amore per una squadra di calcio,
l’unica cosa al mondo che, salvo rarissimi casi, non tradirai/cambierai mai, e
ti trovi a pensare, senza avere risposte, per quale motivo tifi bianco
piuttosto che giallo, cosa ti è scattato in testa mille anni prima, tanto da
trasformare il tutto in fede cieca. Io non so esattamente perché esistono musiche che mi danno
benessere fisico, ma il bello è conoscerle e gestirle, perché sai che certe
sensazioni potrai riviverle a comando, con un semplice start ad un brano
musicale. Non credo sia così per tutti e penso quindi di essere fortunato nel poter
provare emozioni così forti.
Questo
mi accade non solo con il mio amato prog e so che se mi trovo in situazione
solitaria, magari facendo jogging, e nel mio lettore arrivano casualmente
canzoni come “Gets smoke in your eyes” dei Platters, “New York New York”
versione Liza Minelli, “Stardust” di Nat King Cole o “What A Wonderful World”
di Louis Armstrong, riesco ad ascoltarne pochi secondi e poi devo passare oltre
perché, nonostante la loro maestosità, mi provocano un dolore più forte del
piacere, legato probabilmente a momenti della mia vita condizionanti. Stessa
cosa mi accade con ogni trama che propone la lingua francese.
Le
bellezze del “prog”, invece, non mi rendono triste e sono felice di conoscerle
e di poterne usufruire per sempre, a mio piacimento, ma anche in questo caso
non tutto si spiega con la ragione, probabilmente rappresentano una colonna
sono infinita che cambia a seconda dell’epoca/cultura/luogo di appartenenza.
Sintetizzo
con una citazione di Sant’Agostino che all’interno del suo “De Musica”, tra il
300 e il 400, affermava che la musica è l’unità di misura del tempo… del tempo
che passa, aggiungo io!
Il
titolo enuncia il prog tra passato e futuro, il presente cosa ci offre a
livello progressivo? il prog è totalmente libertà espressiva?
Inutile
sottolineare come il prog abbia avuto piena visibilità per un solo lustro e
sono stato testimone, da adolescente, di un siparietto in cui Joe Vescovi dei
Trip consigliava una band cittadina di abbandonare il genere e di buttarsi su
qualcosa di più leggero perché il momento buono era ormai alle spalle: eravamo
nel 1974, ovvero cinque anni dopo l’uscita di “In The Court Of Crimson King”,
manifesto iniziale del genere.
Il
prog ha continuato a vivere e a prolificare, con ritorni importanti e
consolidamenti che proseguono negli anni 2000, andando però a fortificare il
concetto di nicchia.
La
musica prog è ascoltata, suonata e venduta all’interno di un ristretto numero
di ascoltatori virtuosi, non necessariamente nostalgici.
Anche
i giovani ascoltano, suonano e si appassionano al genere, ma sono una piccola -
e nobile - parte nata spesso da una più o meno volontaria azione
genitoriale. Sono convinto che, esattamente come la musica classica,
quella progressiva - tra l’altro esageratamente complessa nella costruzione/proposizione
- rimarrà per sempre come cibo per pochi eletti.Per chi ha vissuto i primi anni
’70 è chiarissima la differenza tra la sua enorme visibilità e l’attuale status
di musica per pochi.
Per
rispondere alla seconda parte della tua domanda direi che la libertà
espressiva, tra le tante caratteristiche che contraddistinguono il genere,
appare dominante, essendo facile trovare all’interno della proposta ogni tipo
di contaminazione, anche se ciò provoca a volte equivoci, perché quando non si
hanno le idee chiare si tende a buttare tutta la responsabilità sul termine
“prog”, abbellito e ingigantito da qualche suffisso.
Creare
delle categorie può essere utile alla comprensione ma le tante caselle oggi
esistenti non mi pare semplifichino la vita.
In
tema di opere presenti e future, non credi che pensando alle uscite
discografiche del passato e facendo sempre paragoni con esse ci sia più
difficoltà per chi produce nuovi lavori?
Sì,
è un lavoro ingrato quello che porta a nuove creazioni, perché l’opera di
comparazione col passato conosciuto nasce spontanea. Ascolto
quotidianamente musica appena uscita, molta di grande qualità, ma inventare
qualcosa mi appare davvero un’impresa. Prendiamo gli otto gruppi stranieri
seminali inseriti nel libro e paragoniamoli, sapendo che sono tutti coevi: cosa
hanno in comune? Ben poco!
Otto
proposte completamente diverse, inventate dal nulla, miscelando rock e
classica, jazz e folk, blues ed elettronica. Tutti riconoscibili dopo poche
note, da uno strumento, da una voce. Stando così le cose parlare di possibili
novità, oggi, mi sembra arduo: cos’altro si può inventare di sconvolgente?!
Nondimeno
il prog, soprattutto italiano, può godere delle tipicità di casa nostra e
quindi gli aspetti melodici, inseriti nel contesto ortodosso, possono fare la
differenza.
Nel libro distinguete otto significativi
archetipi della musica progressiva, otto band che sono state seminali, poi
analizzate anche gli album e gli strumentisti in evidenza, non proponete
classifiche di merito ma ti chiedo - spiegando brevemente le scelte - di
formare - tra le varie line up degli otto ensemble - una tua personalissima
band ideale: voce, tastiere, chitarre, batteria, basso e fiati.
Anche
se mi hai fornito paletti ben precisi che mi costringono a restare entro la
lista degli otto stranieri citati nel book (Genesis, YES, Jethro Tull, ELP,
Pink Floyd, Gentle Giant, Van der Graaf Generator e King Crimson), la domanda
resta… assassina: impossibile stabilire differenze di qualità assolute, per cui
userò il cuore - e un metodo pseudo andreottiano - per darti una formazione,
conscio del fatto che, rimescolando le carte, uscirebbero altri otto
supergruppi.
Partiamo
dal frontman/vocalist e inizierei a inserire Peter Gabriel (Peter Hammill in
panchina), anche se la qualità vocale di un giovane Ian Anderson mi ha sempre
incantato. Alle
tastiere non saprei scegliere tra Emerson e Wakeman per cui lascio il posto a
Kerry Minnear, forse sottovalutato, ma dotato di grande talento e fantasia.
Un
paio di chitarristi servono e suggerisco i nomi di Steve Howe e Bob Fripp,
soprattutto per il contributo dato all’innovazione dello strumento.
Dovendo
scegliere un solo batterista segnalo Carl Palmer mentre al basso inserisco
Chris Squire. Ai
sax David Jackson e al flauto Ian Anderson; aggiungo David Cross al violino. Non
male come new band!
Verissimo!! Seguendo il discorso
precedente, ora ti chiedo –sempre spiegando brevemente le scelte e mettendoli
in ordine di ascolto- di formare una track list di brani che non superi gli 80
minuti di un formato cd, ciò per creare il tuo disco ideale progressivo.
Ottanta minuti sono pochi, ma proverò a
fornirti un brano per band, comprese le quattro italiane inserite nel libro
(PFM, BANCO, ORME, OSANNA); le motivazioni richiederebbero troppo spazio, ma
posso dire che sono alcune di quelle che porterei con me nell’isola deserta:
“Man Erg” - Van der Graaf Generator-10:25
“Firth
Of Fifth”- Genesis - 9:37
“My
God” -Jethro Tull- 7:11
“Trilogy”-
ELP- 8:52
“Starless”-
King Crimson-12:30
“And
You And I”-YES-10:02
“Money
“- Pink Floyd - 4:43
“Proclamation”- Gentle
Giant- 6:47
“È Festa”-PFM -4:54
“Collage”-ORME- 4:50
“750.000 anni fa, l'amore? - Banco Mutuo
Soccorso-5:40
“L'uomo”- OSANNA- 3:33
Siamo a 86 minuti! Speriamo di
starci dentro!
Mi sa che ci vorrebbe un quadruplo lp o un
doppio cd....parlando
del panorama italiano, nel libro ve ne occupate diffusamente, non credi che la cifra
stilistica del progressive nostrano -presente e passato- non abbia nulla da
invidiare a quello internazionale?
In termini di qualità, fantasia e virtuosismo mi pare che i nostri gruppi non abbiano nulla da invidiare a quelli stranieri. Come già detto ascolto quotidianamente ciò che nasce e la maggior parte della musica prog è italiana; purtroppo, di questi tempi manca il confronto reale, quello sul palco, quello che mette vicini mostri del passato (spesso orfani di quasi tutti gli originali) ai musicisti nostrani, giovani e antichi. Non parlo di “battaglia” da palco per dimostrare il singolo valore, ma il miglioramento passa anche attraverso l’osservazione e l’ascolto diretto, occasioni che solo il concerto può fornire.
Nel libro facciamo solo un lungo elenco di band italiane attive nel territorio (oltre alle quattro su cui ci soffermiamo a lungo), ma al termine del progetto l’elenco avrebbe avuto bisogno di un incremento, tanta è la velocità di crescita.
Nell’ esauriente saggio, ottimo compendio
per neofiti e perfetto manuale di ripasso per vecchi melomani, date spazio
anche al mondo delle copertine (l’artwork nel prog è sempre stato una nota di
merito) e dei testi, già in una tua fortunata pubblicazione (libro più cd)
“Cosa resterà di me?” avevi analizzato l’interazione artistica tra immagine,
testo e musica. Quanto è importante questa triade per realizzare un’opera
progressiva?
Direi
imprescindibile se si intende il fenomeno non solo come espressione musicale.
Proprio
la sezione dedicata alle copertine mi ha permesso di scoprire cose a cui non
ero mai arrivato e dietro ad ogni opera artistica impressa sulla cover di un
vinile (noi ne abbiamo trattate solo alcune esplicative) esiste un mondo che si
interseca con tutto il resto del progetto. Credo che dietro al rilancio del
vinile non ci siano operazioni nostalgiche, ma la voglia di contatto fisico e
visivo con opere d’arte totali, non si spiegherebbe in altro modo il ritorno
prepotente ad un formato di facile deterioramento e di minore qualità rispetto
al CD (parole e pensieri di illustri personaggi del prog).
Io
intendo la cultura prog come comprensiva di differenti arti, non solo musica,
ma fotografia, liriche, disegni, racconto, calligrafia; è per questo che
insisto spesso su di un’idea - parlando al vento -, sottolineando che vorrei
esistesse un docente illuminato, che almeno una volta all’anno provasse a fare
un lavoro alternativo con i sui alunni, partendo da un ascolto condiviso avendo
in mano un “vero album”, dividendo poi la classe in gruppi con differenti
compiti - giudizio musicale, traduzione dei testi, ricerca dei messaggi,
analisi dell’artwork -, chiedendo infine opera di sintesi: non sarebbe un
progetto culturale?
Ritengo
che il “diversivo” sarebbe una grande spinta verso la conoscenza di una parte
dell’arte sconosciuta e sicuramente di pregio. Basterebbe una volta all’anno!
Ma so che resterà un sogno.
Il libro si conclude con una proposta di
esercitazione musicale estremamente intrigante e a mio avviso originalissima,
ci puoi dettagliare maggiormente l’argomento?
L’ultima parte di vita lavorativa mi ha
visto nel ruolo di docente in un ambito poco amato, quello della sicurezza sul
lavoro. Essendo qualcosa che ho vissuto intensamente negli anni passati,
aspetti in cui credo ciecamente, ho provato a inventarmi esercitazioni
alternative, che potessero arrivare all’obiettivo attraverso qualcosa di
potenzialmente piacevole, vista la refrattarietà e il pregiudizio riscontrato,
in primis a livello manageriale, responsabile, anche, del buon esempio. E così,
per affrontare al meglio alcuni aspetti del team work e della comunicazione, mi
sono inventato un lavoro, prima singolo e poi di gruppo, che mi ha sempre dato
grosse soddisfazioni e che ho testato con persone di ogni fascia di età, sia
uomini che donne. Non vado oltre nella spiegazione, ma nell’ultimo capitolo del
libro ci sono tutti i dettagli e il materiale utile alla replica. Posso
solo anticipare che il fulcro del gioco è un brano dei Pink Floyd, la band
conosciuta anche da chi ancora deve nascere!
Un pensiero conclusivo....
Nel concludere ti ringrazio perché, tra i
tanti esperti a cui ho fatto riferimento, ci sei anche tu che, come accaduto
per anni su MAT2020, sei stato ancora una volta un prezioso aiuto.
I due autori Enrile e Lacagnina
Il book trailer del saggio