Rikard Sjoblom (Beardfish)

Rikard Sjoblom (Beardfish)
“La luce sul Prog non si è mai spenta, è stata solo offuscata in attesa di nuova energia dal risveglio delle coscienze....”. (Mauro Pini)

giovedì 20 maggio 2021

Suite Rock: il prog tra passato e futuro

Non siamo soliti, su questo blog, dare spazio a novità librarie ma per il saggio in questione  "Suite Rock: il prog tra passato e futuro" (Graphofeel Edizioni)  di Athos Enrile e Oliviero Lacagnina facciamo volentieri un'eccezione.
                                                                                                                                                                                                                                                                                          
 Tutto questo perché è un libro che offre notevoli stimoli a intenditori e non, affrontando con perizia tecnica e afflato divulgativo le molteplici sfaccettature precipue del progressive o rock sinfonico com’era chiamato una volta, sottolineatura di Luciano Boero ( La Locanda delle fate) nella prefazione.  

Abbiamo così  rivolto alcune domande ad uno degli autori, Athos Enrile ( nella foto), che ci ha risposto con entusiasmo e competenza.    
 
                                                                                                                                            
Saggi relativi al rock progressivo ve ne sono molteplici in circolazione, ci puoi riassumere l’idea primigenia che ti ha stimolato per scrivere il libro?
 
Non è stata una mia idea ma l’offerta è arrivata da Oliviero Lacagnina, maestro ed ex tastierista dei Latte e Miele che, avendo avuto richiesta specifica dalla responsabile della sezione musica della casa editrice Graphofeel, mi ha coinvolto.
Conosco personalmente Oliviero da una decina di anni ma sono legato a lui da molto più tempo, essendo stato tra i primi musicista che vidi dal vivo quando ero adolescente; parlo del mio concerto di iniziazione che corrisponde ad una performance dei Latte e Miele che, quel lontano 30 maggio del 1972, aprivano per i Van der Graaf Generator. Amicizia e riconoscenza a parte, non ho immediatamente intravisto la necessità di aggiungere altro all’argomento “prog”, già trattato in tutte le salse.
Non mi faccio mai pregare quando si tratta di scrivere, soprattutto di musica, ma il tutto deve avere una finalità, un obiettivo preciso, insomma, deve essere utile per qualcuno, almeno potenzialmente, e l’argomento generico “prog” non mi pareva potesse avere queste caratteristiche. Mi sono convinto e motivato quando ho realizzato che dovevamo disegnare un percorso per neofiti, non necessariamente giovani, qualcosa di didattico che non trattasse tutto l’esistente ma lanciasse il seme che avrebbe dovuto essere raccolto da chi risultasse curioso. Ho preparato un lay out che temporalmente partisse dall’era beat e arrivasse ai giorni nostri, trattando topics disparati che si soffermassero non solo sull’elemento musicale ma anche sulla storia, sulla cultura, sull’analisi della società e su aspetti collaterali che difficilmente si trattano in questi casi. Dalla divisione dei compiti tra me e Oliviero è uscito un volume decisamente più ampio rispetto al target, ma Graphofeel ha deciso di non effettuare tagli, ritenendo che lo sfoltimento avrebbe danneggiato il saggio, ed è stato questo un elemento di grossa soddisfazione.

Nel testo, trentaquattro paragrafi -introduzione e ringraziamenti inclusi- per 420 pagine c’è davvero un mare magno di informazioni, una eterogeneità di argomenti con il fil rouge del rock progressivo che è poi l’ingrediente basico per ogni intervento. Ci sono pagine di cui sei più fiero? Con il senno di poi, a distanza di qualche mese dalla pubblicazione del saggio, c’è qualcosa che vorresti variare/aggiungere all’opera editoriale?
 
Lo ritengo completo e non migliorabile dal punto di vista concettuale, è proprio quello che io e Oliviero volevamo e ho una piccola conferma dal fatto che il figlio di un amico scrittore l’ha utilizzato per i suoi studi, misura di una certa efficacia didattica.
Non l’ho più riletto, come accaduto per gli altri libri scritti, sicuro di trovare spiacevoli refusi che possono capitare, ma rivisito spesso l’indice per prepararmi alle varie interviste e ogni volta trovo soddisfazione davanti a tanta esaustività.
Purtroppo, non c’è stata la possibilità di effettuare presentazioni in presenza, quelle che permettono una maggiore condivisione, ma possiamo ancora rifarci.
Per rispondere alla prima parte della tua domanda, mi ha dato molta soddisfazione proporre alcune parti che difficilmente si affrontano nei saggi musicali, come il rito del vinile di antica memoria, alcuni aspetti legati alla sicurezza - come l’ipoacusia dovuta ad eccesso di suono/rumore -, qualche concetto estremamente personale legato al connubio tra liriche e musica attraverso leggi della termodinamica e la proposizione di esercitazioni “scolastiche” che mi hanno sempre dato grosse gratificazioni e che così posso condividere.

 È noto che per te il gioco di squadra ha un valore fondamentale: della serie il tutto è più della somma delle sue parti, per questa esperienza editoriale come ha funzionato e ti senti soddisfatto del risultato?

 Il mio pallino del lavoro in team non è un vezzo ma è frutto della conoscenza della sua forza, verificata a più riprese sia in ambito professionale che ludico. In questo caso abbiamo applicato la regola che ha caratterizzato MAT 2020 nel corso della sua lunga esistenza. La logica utilizzata è stata quella di far parlare gli esperti di argomenti specifici, quindi i capitoli sulla radio, sulla fotografia, sul giornalismo, sulle sostanze stupefacenti, sulle case discografiche o su strumentisti/strumenti nel prog, tanto per fare qualche esempio, hanno visto all’opera chi aveva ruolo ed esperienza per poter affrontare i vari argomenti.
Il lavoro in squadra richiede capacità organizzativa, cosa che ho affinato nel tempo, motivato dai risultati sorprendenti che derivano dalla suddivisione dei compiti con persone di fiducia. Anche in questo caso tutto ha funzionato al meglio, almeno dal punto di vista della costruzione, nella speranza che lo sforzo possa essere avvertito e apprezzato anche dall’esterno.

                                La prima mitica copertina del magazine on line Mat 2020 


Tu hai un background giornalistico musicale che offre un importante fianco al ricordo, giacché sia nel tuo blog, sia nel magazine on line Mat 2020 che da poco ha chiuso i battenti, offri con grande rispetto una descrizione degli eventi che si susseguono. Quanto è importante, parafrasando “Per quando noi non ci saremo” di gucciniana memoria, lasciare una traccia scritta?

Scrivere un libro sembra a volte un’azione egoistica, quantomeno narcisista. Io ho adottato nel tempo un modus operandi che mi porta a commentare ogni tipo di evento a cui partecipo, non importa la sua dimensione. Posso dire che grazie a me, da molti anni, esistono articoli - con tanto di foto e testimonianza video - che rimarranno per sempre; questo non mi porta denaro, gloria, né altri benefici, ma risponde alla mia esigenza primaria che da anni mi spinge a condividere le cose musicali, una sorta di missione, che di certo non mi manderà in Paradiso, ma mi mette la coscienza a posto, un omaggio alla MUSICA a minima compensazione di quanto LEI ha dato a me.
Ci sono poi aspetti storici e culturali che vanno salvaguardati. Io spingo sempre gli artisti che conosco - quelli magari più avanti con gli anni - a trovare il modo e il tempo per rovesciare la loro memoria su di un foglio di carta/elettronico, perché in caso contrario ciò che hanno vissuto andrà perso per sempre, e non si tratta solo di “canzonette”. 
Mi viene in mente il mio amico Fico Piazza, tra I QUELLI e la PFM, passando per Lucio Battisti: una volta mi ha raccontato che alla fine della registrazione di “Emozioni”, del Lucio nazionale - a cui lui partecipò come bassista - si era creata una atmosfera particolare e tutti avevano le lacrime agli occhi: ecco, queste cose, che appaiono minuscole ma non lo sono, andranno perse per sempre se non sarà lasciata traccia scritta e non credo sia il caso di rischiare!
                                                        Giorgio "Fico" Piazza

 
Il prog ha una storia articolata ed è un genere che alcuni detestano a priori, altri lo amano profondamente. Hai sempre dichiarato - anche nella introduzione del libro - che a prescindere dalle catalogazioni dividi la musica tra quella che ti piace e tutto il resto, quali sono i criteri che ti fanno apprezzare un brano e quali sono quelli che te lo fanno “respingere” dal tuo gradimento?   
                                                                                                      
Non sono in grado di affrontare l’argomento usando la razionalità, perché il gradimento sonoro esula da ogni tipo di ragionamento e alla fine ci si chiede come mai basti un minuto di una canzone per farla propria per sempre, mentre altre non riescono a superare alcun esame multiplo. Trovo sia un po' come l’amore per una squadra di calcio, l’unica cosa al mondo che, salvo rarissimi casi, non tradirai/cambierai mai, e ti trovi a pensare, senza avere risposte, per quale motivo tifi bianco piuttosto che giallo, cosa ti è scattato in testa mille anni prima, tanto da trasformare il tutto in fede cieca.   Io non so esattamente perché esistono musiche che mi danno benessere fisico, ma il bello è conoscerle e gestirle, perché sai che certe sensazioni potrai riviverle a comando, con un semplice start ad un brano musicale. Non credo sia così per tutti e penso quindi di essere fortunato nel poter provare emozioni così forti.
Questo mi accade non solo con il mio amato prog e so che se mi trovo in situazione solitaria, magari facendo jogging, e nel mio lettore arrivano casualmente canzoni come “Gets smoke in your eyes” dei Platters, “New York New York” versione Liza Minelli, “Stardust” di Nat King Cole o “What A Wonderful World” di Louis Armstrong, riesco ad ascoltarne pochi secondi e poi devo passare oltre perché, nonostante la loro maestosità, mi provocano un dolore più forte del piacere, legato probabilmente a momenti della mia vita condizionanti. Stessa cosa mi accade con ogni trama che propone la lingua francese.
Le bellezze del “prog”, invece, non mi rendono triste e sono felice di conoscerle e di poterne usufruire per sempre, a mio piacimento, ma anche in questo caso non tutto si spiega con la ragione, probabilmente rappresentano una colonna sono infinita che cambia a seconda dell’epoca/cultura/luogo di appartenenza.
Sintetizzo con una citazione di Sant’Agostino che all’interno del suo “De Musica”, tra il 300 e il 400, affermava che la musica è l’unità di misura del tempo… del tempo che passa, aggiungo io!       

                                                                                                                                                                                                                           
Il titolo enuncia il prog tra passato e futuro, il presente cosa ci offre a livello progressivo?  il prog è totalmente libertà espressiva?
 
Inutile sottolineare come il prog abbia avuto piena visibilità per un solo lustro e sono stato testimone, da adolescente, di un siparietto in cui Joe Vescovi dei Trip consigliava una band cittadina di abbandonare il genere e di buttarsi su qualcosa di più leggero perché il momento buono era ormai alle spalle: eravamo nel 1974, ovvero cinque anni dopo l’uscita di “In The Court Of Crimson King”, manifesto iniziale del genere.
Il prog ha continuato a vivere e a prolificare, con ritorni importanti e consolidamenti che proseguono negli anni 2000, andando però a fortificare il concetto di nicchia.
La musica prog è ascoltata, suonata e venduta all’interno di un ristretto numero di ascoltatori virtuosi, non necessariamente nostalgici.
Anche i giovani ascoltano, suonano e si appassionano al genere, ma sono una piccola - e nobile - parte nata spesso da una più o meno volontaria azione genitoriale. Sono convinto che, esattamente come la musica classica, quella progressiva - tra l’altro esageratamente complessa nella costruzione/proposizione - rimarrà per sempre come cibo per pochi eletti.Per chi ha vissuto i primi anni ’70 è chiarissima la differenza tra la sua enorme visibilità e l’attuale status di musica per pochi.
Per rispondere alla seconda parte della tua domanda direi che la libertà espressiva, tra le tante caratteristiche che contraddistinguono il genere, appare dominante, essendo facile trovare all’interno della proposta ogni tipo di contaminazione, anche se ciò provoca a volte equivoci, perché quando non si hanno le idee chiare si tende a buttare tutta la responsabilità sul termine “prog”, abbellito e ingigantito da qualche suffisso.
Creare delle categorie può essere utile alla comprensione ma le tante caselle oggi esistenti non mi pare semplifichino la vita.
 
In tema di opere presenti e future, non credi che pensando alle uscite discografiche del passato e facendo sempre paragoni con esse ci sia più difficoltà per chi produce nuovi lavori?
 
Sì, è un lavoro ingrato quello che porta a nuove creazioni, perché l’opera di comparazione col passato conosciuto nasce spontanea. Ascolto quotidianamente musica appena uscita, molta di grande qualità, ma inventare qualcosa mi appare davvero un’impresa. Prendiamo gli otto gruppi stranieri seminali inseriti nel libro e paragoniamoli, sapendo che sono tutti coevi: cosa hanno in comune? Ben poco!
Otto proposte completamente diverse, inventate dal nulla, miscelando rock e classica, jazz e folk, blues ed elettronica. Tutti riconoscibili dopo poche note, da uno strumento, da una voce. Stando così le cose parlare di possibili novità, oggi, mi sembra arduo: cos’altro si può inventare di sconvolgente?!
Nondimeno il prog, soprattutto italiano, può godere delle tipicità di casa nostra e quindi gli aspetti melodici, inseriti nel contesto ortodosso, possono fare la differenza.

Nel libro distinguete otto significativi archetipi della musica progressiva, otto band che sono state seminali, poi analizzate anche gli album e gli strumentisti in evidenza, non proponete classifiche di merito ma ti chiedo - spiegando brevemente le scelte - di formare - tra le varie line up degli otto ensemble - una tua personalissima band ideale: voce, tastiere, chitarre, batteria, basso e fiati.

Anche se mi hai fornito paletti ben precisi che mi costringono a restare entro la lista degli otto stranieri citati nel book (Genesis, YES, Jethro Tull, ELP, Pink Floyd, Gentle Giant, Van der Graaf Generator e King Crimson), la domanda resta… assassina: impossibile stabilire differenze di qualità assolute, per cui userò il cuore - e un metodo pseudo andreottiano - per darti una formazione, conscio del fatto che, rimescolando le carte, uscirebbero altri otto supergruppi.
Partiamo dal frontman/vocalist e inizierei a inserire Peter Gabriel (Peter Hammill in panchina), anche se la qualità vocale di un giovane Ian Anderson mi ha sempre incantato.  Alle tastiere non saprei scegliere tra Emerson e Wakeman per cui lascio il posto a Kerry Minnear, forse sottovalutato, ma dotato di grande talento e fantasia.
Un paio di chitarristi servono e suggerisco i nomi di Steve Howe e Bob Fripp, soprattutto per il contributo dato all’innovazione dello strumento.
Dovendo scegliere un solo batterista segnalo Carl Palmer mentre al basso inserisco Chris Squire. Ai sax David Jackson e al flauto Ian Anderson; aggiungo David Cross al violino. Non male come new band!
                                                           
Kerry Minnear


Verissimo!! Seguendo il discorso precedente, ora ti chiedo –sempre spiegando brevemente le scelte e mettendoli in ordine di ascolto- di formare una track list di brani che non superi gli 80 minuti di un formato cd, ciò per creare il tuo disco ideale progressivo.

Ottanta minuti sono pochi, ma proverò a fornirti un brano per band, comprese le quattro italiane inserite nel libro (PFM, BANCO, ORME, OSANNA); le motivazioni richiederebbero troppo spazio, ma posso dire che sono alcune di quelle che porterei con me nell’isola deserta:
 “Man Erg” - Van der Graaf Generator-10:25
“Firth Of Fifth”- Genesis - 9:37
“My God” -Jethro Tull- 7:11
“Trilogy”- ELP- 8:52
“Starless”- King Crimson-12:30
“And You And I”-YES-10:02
“Money “- Pink Floyd - 4:43
“Proclamation”- Gentle Giant- 6:47
“È Festa”-PFM -4:54
“Collage”-ORME- 4:50
“750.000 anni fa, l'amore? - Banco Mutuo Soccorso-5:40
“L'uomo”- OSANNA- 3:33
 Siamo a 86 minuti! Speriamo di starci dentro!

                                                 
       Osanna: L'uomo


Mi sa che ci vorrebbe un quadruplo lp o un doppio cd....parlando del panorama italiano, nel libro ve ne occupate diffusamente, non credi che la cifra stilistica del progressive nostrano -presente e passato- non abbia nulla da invidiare a quello internazionale?

In termini di qualità, fantasia e virtuosismo mi pare che i nostri gruppi non abbiano nulla da invidiare a quelli stranieri. Come già detto ascolto quotidianamente ciò che nasce e la maggior parte della musica prog è italiana; purtroppo, di questi tempi manca il confronto reale, quello sul palco, quello che mette vicini mostri del passato (spesso orfani di quasi tutti gli originali) ai musicisti nostrani, giovani e antichi. Non parlo di “battaglia” da palco per dimostrare il singolo valore, ma il miglioramento passa anche attraverso l’osservazione e l’ascolto diretto, occasioni che solo il concerto può fornire.
Nel libro facciamo solo un lungo elenco di band italiane attive nel territorio (oltre alle quattro su cui ci soffermiamo a lungo), ma al termine del progetto l’elenco avrebbe avuto bisogno di un incremento, tanta è la velocità di crescita.

Nell’ esauriente saggio, ottimo compendio per neofiti e perfetto manuale di ripasso per vecchi melomani, date spazio anche al mondo delle copertine (l’artwork nel prog è sempre stato una nota di merito) e dei testi, già in una tua fortunata pubblicazione (libro più cd) “Cosa resterà di me?” avevi analizzato l’interazione artistica tra immagine, testo e musica. Quanto è importante questa triade per realizzare un’opera progressiva?



Direi imprescindibile se si intende il fenomeno non solo come espressione musicale.
Proprio la sezione dedicata alle copertine mi ha permesso di scoprire cose a cui non ero mai arrivato e dietro ad ogni opera artistica impressa sulla cover di un vinile (noi ne abbiamo trattate solo alcune esplicative) esiste un mondo che si interseca con tutto il resto del progetto. Credo che dietro al rilancio del vinile non ci siano operazioni nostalgiche, ma la voglia di contatto fisico e visivo con opere d’arte totali, non si spiegherebbe in altro modo il ritorno prepotente ad un formato di facile deterioramento e di minore qualità rispetto al CD (parole e pensieri di illustri personaggi del prog).
Io intendo la cultura prog come comprensiva di differenti arti, non solo musica, ma fotografia, liriche, disegni, racconto, calligrafia; è per questo che insisto spesso su di un’idea - parlando al vento -, sottolineando che vorrei esistesse un docente illuminato, che almeno una volta all’anno provasse a fare un lavoro alternativo con i sui alunni, partendo da un ascolto condiviso avendo in mano un “vero album”, dividendo poi la classe in gruppi con differenti compiti - giudizio musicale, traduzione dei testi, ricerca dei messaggi, analisi dell’artwork -, chiedendo infine opera di sintesi: non sarebbe un progetto culturale?
Ritengo che il “diversivo” sarebbe una grande spinta verso la conoscenza di una parte dell’arte sconosciuta e sicuramente di pregio. Basterebbe una volta all’anno! Ma so che resterà un sogno.

Il libro si conclude con una proposta di esercitazione musicale estremamente intrigante e a mio avviso originalissima, ci puoi dettagliare maggiormente l’argomento?

L’ultima parte di vita lavorativa mi ha visto nel ruolo di docente in un ambito poco amato, quello della sicurezza sul lavoro. Essendo qualcosa che ho vissuto intensamente negli anni passati, aspetti in cui credo ciecamente, ho provato a inventarmi esercitazioni alternative, che potessero arrivare all’obiettivo attraverso qualcosa di potenzialmente piacevole, vista la refrattarietà e il pregiudizio riscontrato, in primis a livello manageriale, responsabile, anche, del buon esempio. E così, per affrontare al meglio alcuni aspetti del team work e della comunicazione, mi sono inventato un lavoro, prima singolo e poi di gruppo, che mi ha sempre dato grosse soddisfazioni e che ho testato con persone di ogni fascia di età, sia uomini che donne. Non vado oltre nella spiegazione, ma nell’ultimo capitolo del libro ci sono tutti i dettagli e il materiale utile alla replica. Posso solo anticipare che il fulcro del gioco è un brano dei Pink Floyd, la band conosciuta anche da chi ancora deve nascere!

Un pensiero conclusivo....
 
Nel concludere ti ringrazio perché, tra i tanti esperti a cui ho fatto riferimento, ci sei anche tu che, come accaduto per anni su MAT2020, sei stato ancora una volta un prezioso aiuto.

I due autori Enrile e Lacagnina



Il book trailer del saggio



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