domenica 19 luglio 2015

Armonite

Gli Armonite avevano pubblicato nel 1999 il loro disco d’esordio “Inuit” poi un lungo silenzio fino a quest’anno.
L'album 2015 "The Sun Is New Each Day" prodotto da Paul Reeve (ex produttore dei Muse) con la presenza dei soli Fosso e Bigi degli Armonite originari, ha un suono estremamente accattivante con tecnica ed emozione che creano un grande coinvolgimento al fruitore.
Il nuovo disco, uscito il 22 Giugno,  è stato masterizzato agli Abbey Road Studios di Londra ed è –incredibilmente - scaricabile sia dal sito ufficiale http://www.armonite.com, sia su bandcamp: https://armonite.bandcamp.com
Line up:  Paolo Fosso, compositore, tastiere. Jacopo Bigi: violino, l’australiano Colin Edwin dei Porcupine Tree al basso e l’olandese Jasper Barendregt alla batteria.

sabato 18 luglio 2015

Scenario

Un solo disco all’attivo dal titolo "A Fearfull Symmetry" per la prog metal band romana degli Scenario in cui spicca la presenza del chitarrista Filippo Marchegiani con trascorsi nel Banco del Mutuo Soccorso.
Sonorità corpose per un’eccellente produzione uscita nel 2001 per Musea Records ove spiccano i quasi dodici minuti estremamente variegati di Godot's Arrival (I - II - III) sesta e penultima traccia del lavoro (vedi filmato).
Line up: Tony D'Alessio : voce. Filippo Marcheggiani: chitarre. Claudio Leuti: basso. Heric Fittipaldi: tastiere e alla batteria Alessandro Beccati.
Link Utile: https://itunes.apple.com/us/album/a-fearful-symmetry/id352865624

Album consigliato: A Fearfull Symmetry (2001)

giovedì 16 luglio 2015

Jenny Sorrenti

Musicista e cantante partenopea d’origine gallese, sorella minore del celeberrimo Alan, Jenny (all’anagrafe Gianna) Sorrenti è ancor oggi una delle voci più ammalianti del panorama progressive (e non solo) italiano.
Dopo gli album capolavori degli anni settanta sia come solista sia –soprattutto- alla guida dei Saint Just, nel terzo millennio Jenny ha sfornato dischi non propriamente progressivi ma che hanno un alto valore artistico come Medieval Zone del 2001, Com’è grande enfermidade del 2006, Burattina del 2009 e il densamente progressivo (ospite anche Francesco di Giacomo in una traccia) Prog Explosion del 2011con la sigla Saint Just Again.
Sito ufficiale:  http://www.jennysorrenti.it/

Album consigliato: Prog Explosion (2011)

mercoledì 15 luglio 2015

Osanna

L’ensamble degli Osanna ha iniziato a produrre dischi di notevole valore fin dai primordi degli anni settanta.
Riapparsi nel nuovo millennio con una formazione completamente rinnovata, con il solo Lino Vairetti del gruppo storico e la presenza ai fiati di David Jackson (ex Van Der Graaf Generator), la band napoletana ha sfornato dal 2009 tre dischi di eccellente livello musicale (Prog Family nel 2009, Rosso Rock nel 2012 e nel 2015 Palepolitana).
Nei loro numerosi  live act  di questi ultimi anni, come loro tradizione,  hanno abbinato energia musicale, tecnica sopraffina e coreografie teatrali che riecheggiano la commedia dell’arte con una spiccata propensione alla “napoletanità”.
Line up attuale: Lino Vairetti: voce, armonica a bocca, chitarra acustica. Gennaro Barba: batteria. Nello D'Anna: basso. Irvin Luca Vairetti: sintetizzatore, mellotron, voce secondaria. David Jackson: flauto, sassofono. Sasà Priore: pianoforte, tastiera . Pasquale “Pako” Capobianco: chitarre.
Sito ufficiale: http://www.osanna.it/
Album consigliato: Palepolitana (2015)
In ascolto l'intero album



lunedì 13 luglio 2015

Barock Project

Dell’ensamble bolognese dei Barock Project già parlammo vedi: http://progressivedelnuovomillennio.blogspot.it/2012/06/barockproject.html.
L’8 Giugno scorso è uscito l’autoprodotto Skyline, quarta prova discografica di una band tra le più importanti del nostro ricco panorama progressivo.
Il lavoro di dieci tracce per settanta minuti di neo prog di grande levatura, ospita nella title track l’intervento vocale e flautistico di Vittorio “New Trolls” De Scalzi e all’artwork  il genio creativo di Paul Whitehead che in passato aveva lavorato- tra gli altri- con Genesis, Van der Graaf  Generator, Peter Hammill, Lindisfarne ,Le Orme e Alex Carpani.
Line up: Luca Pancaldi al canto, Luca Zabbini tastiere, basso e cori. Eric Ombelli: batteria e Marco Mazzuoccolo alle chitarre.



Gabriele Guidi Colombi: Basso a nudo.....

Ripropongo una mia intervista realizzata a Gabriele Guidi Colombi , recentemente apparsa sul blog ufficiale di Mat 2020: http://mat2020.blogspot.it/2015/06/mauro-selis-ha-incontrato-gabriele.html.
Comunico che, con somma soddisfazione, questa intervista è stata anche tradotta in giapponese e diffusa nel paese del sol levante, ecco il link: 
http://blog.goo.ne.jp/sakuradeprog/e/6234502c18a1a7113fe47918dff7d8a6



Basso A Nudo…

Il bassista Gabriele Guidi Colombi de “La Coscienza di Zeno” ci racconta qualcosa non solo della sua genesi artistica e del presente ricco di soddisfazioni musicali, ma apre i varchi del suo “Io” per i lettori di Mat 2020.
Ecco cosa ci ha narrato:
Gabriele, se ti dovessi presentare ad una persona sconosciuta, cosa diresti per prima cosa di te?

Ovviamente dipende dal contesto in cui ci si trova, tuttavia se in una situazione ideale dovessi presentarmi enunciando le prime caratteristiche delle quali ritengo d'esser investito direi "Piacere,  sono Gabriele. Persona troppo sensibile, troppo romantica, troppo timida e troppo riservata". 
Felice d'esser così, assolutamente, anche se timidezza e riservatezza hanno portato molte persone a credere che io sia un po' snob e che me la tiri abbastanza. "Tirarmela per cosa?", mi chiedo. Eppure...

Qual è il tuo primo ricordo musicale?

Emerson, Lake & Palmer: sono loro il primo imprinting musicale forte e consapevole. Mi pare di vedere anche adesso la cassetta verde della Basf con registrato il loro esordio. In particolare, rammento con chiarezza la sensazione di fastidio che mi procurava la parte acustica di Lake in "Take a pebble": non si sentiva nulla! Imprecavo... e per anni ho pensato che quella famosa cassetta facesse schifo. In seguito, acquistando il vinile, capii che quel mezzo silenzio era voluto e non un difetto del povero supporto verde. Sì, Emerson, Lake & Palmer furono il mio primo amore musicale, ma oggi quell'amore non è più cieco come una volta. D'altronde, è un sentimento che non può mantenere per sempre la stessa intensità, cristallizzandosi in un "eterno primo giorno". L'amore si trasforma giorno dopo giorno. Resta tale ma diventa più maturo, critico e coscienzioso.

Quali erano i giochi che ti appassionavano da bambino e quali aspirazioni ti ponevi nell’età infantile?

Subbuteo su tutto e tutti. Ho passato degli anni sopra quel panno verde, pomeriggi interi passati a organizzare tornei, scrivere risultati e stilare classifiche. Indirettamente è stato anche grazie a questo gioco e alla mia relativa solitudine (da bambino uscivo da solo molto di rado) che è nata la mia passione verso la musica. In questi lunghi pomeriggi dove rubavo tempo allo studio -campo nel quale non ho mai brillato-  giocavo una marea di partite e nel frattempo col mio registratore iniziavo ad ascoltare i primi dischi importanti per il mio percorso: Tarkus, Fragile, A trick of the tail. Insomma, la passione per il Subbuteo è stata fondamentale nella mia personale crescita musicale. Gioco e musica, un binomio per me indissolubile.
Aspirazioni? Che domanda... essere un calciatore! Da bambino sognavo che da grande sarei diventato una figura mitologica in grado di cambiare e decidere il corso di ogni incontro di calcio. Peccato che mi siano state concesse altre virtù ma non quella del "fenomeno del pallone"; non a caso oggi in fondo alle gambe ho due incudini e non due piedi come normalmente richiesto per giocare a calcio. Peccato davvero... ma col tempo ho imparato ad accontentarmi di ciò che alla nascita mi è stato donato: per dire, non gioco bene al pallone ma almeno sono bravo a mangiar ravioli (anche per quello ci vuole del talento).

Ci racconti un tuo sogno nel cassetto dell’adolescenza, una fase della vita indiscutibilmente dinamica e non solo a livello ormonale?

Realizzato che il calcio e lo sport in generale potevano giusto esser considerati "sogni-nel-cassetto" (in quanto irrealizzabili), col tempo ho desiderato altro. Crescendo ho realizzato che la mia vera passione era la Musica. Compreso cosa davvero m'interessasse nella vita ho cominciato a cercare dischi d'ogni tipo e genere. La mia stanza, grazie anche all'ausilio di mio fratello, presto divenne un luogo dove alloggiavano "bulacchi" (come si dice a Genova) di cassette registrate, perchè i soldi per i long-playing in vinile scarseggiavano. Le cassette: un mondo di poetici fruscii, di tasti rossi con la scritta "REC" che se malauguratamente schiacciati per errore registravano il vuoto sopra a dei brani sacri. Bellissima l'emozione quando (dopo mesi d'attesa e al prezzo di un discreto investimento per una cassetta vergine di qualità) finalmente il mio compagno di classe delle superiori mi restituiva quel tesoro immateriale che era "la musica non ancora ascoltata". Divago, ma giusto per far capire cos'è la Musica per me. Prima del diploma non avevo mai toccato uno strumento in vita mia, poi quasi per caso mi fu prestato un Fender Mustang '69 (sigh, che ricordi!), avevo 19 anni... e da quel giorno iniziò il mio percorso. Una strada lunga ma che mi porta proprio in questi anni a realizzare in concreto, giorno dopo giorno, il mio sogno-nel-cassetto. Non è dunque più un sogno, una fantasticheria, ma qualcosa di chiaro, forte, vivo e si chiama La Coscienza di Zeno. Un sogno inseguito con forza e fatica ma che mi ha portato ad essere completamente appagato dalla musica composta negli anni assieme agli altri coscienziosi: per esempio, quando ascolto "La temperanza" mi riempio d'orgoglio. Esagero? Non sono proprio obiettivo? Non so, di certo è genuino quel che sento. Ripensando alla domanda... io vivo da sempre nell'adolescenza. Adoro essere un uomo-adolescente  e quindi ho il diritto d'avere ancora almeno due sogni. Il primo è suonare con CdZ in un altro continente: America, Asia, Luna ... quello che volete, va bene tutto. Il secondo è quello di registrare un disco di cover di prog minore, cose Paradiso di Robots, La Bottega dell'Arte, I Vermi, Chetro & Co. Riuscissi a realizzare almeno uno di questi due sogni! Sarà difficile ma non mollo. Insomma, mai rinunciare ai sogni-nel-cassetto altrimenti, col tempo, ci si ritrova orfani di ogni obiettivo, aspirazione e stimolo.

Ti ricordi il primo disco che hai acquistato, quale emozione hai provato?

Furono due classiconi in vinile: "Works" degli ELP e "Drama" degli Yes. Spesi circa quindicimila lire in tutto ed ero emozionatissimo nel portare il sottile sacchetto verso casa. Quando sentìì "Pirates" mi emozionai come un bambino: la voce di Lake, il magistrale arrangiamento orchestrale, l'epicità di tutta la musica degli ELP riversata in quello che è forse il loro ultimo grande brano. Oggi, con la maturità, tutto viene ridimensionato, ovvio. Il kitsch è sempre dietro l'angolo riascoltando "Pirates", ma nel fascino degli ELP è forte anche questa componente circense un po' demodé. Se non sopporti questo fattore non sopporti neppure il trio altrimenti, come nel mio caso, lo ami. A proposito di circo: "Drama" mi colpì allo stomaco col riff iniziale di "Machine Messiah" e dopo quello con una serie di altri colpi potentissimi alla mia sensibilità sinfonica... insomma, uno dei miei dischi preferiti degli Yes. Comunque questi due vinili s'andarono a sommare all'esigua collezione di vinili allora esistente in casa Guidi-Colombi. Oggi tale colonia non è enorme ma nemmeno più tanto esigua, ma il ricordo dell'emozione che provai nell'acquistarli fu unica e assolutamente indimenticabile.

Le persone a te care quanto hanno influenzato le tue scelte musicali?

Faccio parte di quella schiera di nerd che si avvicinò al prog grazie all' influenza del famoso "fratello maggiore". Sono nato nel '73 e mio fratello nel '66, quindi quei sette anni di differenza hanno permesso a lui di usufruire degli ultimi sussulti del prog come fenomeno commerciale (Asia, ad esempio) e a me di crescere immerso in hammond e mellotron vari. Oggi lui ascolta per lo più jazz. Sono io quello che si è "soffermato" sul progressive. La maggiore parte della musica che ascolto si può incanalare nell'enorme calderone del prog. Ovvio che poi nel corso degli anni una miriade di persone ti consigliano questo o quel disco ma fondamentalmente è mio fratello colui che, involontariamente, mi ha spinto verso questo genere.

Quando ti sei messo a suonare il basso e come mai hai scelto questo strumento?

Come accennavo prima, ho iniziato in età relativamente tarda, sui 18/19 anni. Come tanti coetanei, una volta centrato l'obiettivo di riuscire a non farmi mai bocciare nel corso dei cinque anni di superiori, si parò davanti a me la fase della "disoccupazione fisiologica": si preannunciava lunga e venne colmata grazie all'infinita gentilezza di Giorgio Bottaro, zio della mia ragazza di allora. Fu lui a prestarmi il già citato Mustang col quale iniziai a strimpellare le prime incerte note. La mia non fu la scelta di uno specifico strumento, quanto piuttosto un'occasione per ingannare la noia della disoccupazione. Parliamoci chiaro: se mi avessero prestato uno xilofono mi sarei buttato anima e corpo sullo strumento, proprio come invece ho fatto col basso elettrico. In ogni caso la -chiamiamola così- "chitarra a 4 corde" è da sempre stato uno tra i miei strumenti preferiti e non passa giorno in cui io non benedica il giorno in cui iniziai a sfiorarlo. Il mio è un amore incondizionato verso lo strumento: sentire le sue vibrazioni e le sue frequenze, tentare di migliorare il suono piuttosto che ricercare la tecnica a tutti i costi, scoprire di continuo che tu non sei altro che l'altra metà del basso stesso, capire che lui senza di te non è lo stesso e viceversa. Per me tutto questo non ha prezzo ed è per tutto questo che nonostante gli anni nessun altro strumento mi ha mai affascinato altrettanto.


Il tuo bassista preferito della storia?

"Domanda delle 100 pistole" come soleva dire il sempiterno Sandro Paternostro... a dire il vero ce ne sono a "bulacchi" (eddài) ma ne voglio scegliere uno perchè la domanda, chiara e diretta, merita una risposta all'altezza. Penso, penso e ripenso e rispondo: John Wetton. Un artista a tutto tondo: King Crimson, Family, Uriah Heep, Roxy Music, UK, Asia... e altro ancora. Insomma, non tutti possono vantarsi di avere suonato, o collaborato, con così tanti nomi importanti e con risultati così entusiasmanti. Ho sempre sostenuto che pagherei oro per scrivere la linea di basso di "Starless"... essere bassista e trovarsi di fronte a codesta parte equivale a confrontarsi col Divino, sì. Unto dal Signore; ecco, il giorno in cui ha ultimato la linea di basso di "Starless", John Wetton è stato unto dal Signore.  All'interno di quel brano si può trovare tutto il chiaroscuro che lo strumento può esprimere. Ovvio che poi l'enorme talento di Wetton si sia espresso in tantissime altre canzoni, ma questo episodio è il suo vertice ed è ciò che me lo fa preferire ad altri bassisti. Vogliamo poi parlare del suo timbro vocale e delle sue capacità interpretative? Personalmente lo trovo un Gigante; un gigante un pochino più gigante degli altri giganti.

Hai voglia di sintetizzare il tuo curriculum come musicista?

Non sono giovane e non sono anziano. Sono in quella fase in cui il curriculum inizia ad essere sostanzioso e quindi per forza di cose bisogna essere un po' sintetici. Ci provo, via. Partendo dall'inizio, i Trama! Fu con loro che mossi i primi passi e sempre con loro che iniziai ad usare anche la parola "culo" pensando di proferire chissà quale termine blasfemo. Fui contattato dal gruppo tramite Luca Scherani e dopo qualche tempo provai la prima volta con loro, suonando "Our Song" degli Yes e "Easter" dei Marillion. Penso di essere stato arruolato per mancanza di alternative, in quanto unico bassista a disposizione... "meglio che niente", devono aver pensato. Con i Trama suonai la prima volta dal vivo a Santa Margherita Ligure e soprattutto iniziai ad assaporare la gioia di comporre musica e di arrangiarla. Dopo qualche tempo, grazie a Mauro Moroni, pubblicammo nel 1999 un disco d'inediti: "Prodromi di finzioni sovrapposte". Era neo-prog un po' all'acqua di rose e non riscosse troppo successo nel settore. Conclusasi l'esperienza-Trama, dalle schegge del gruppo scaturirono vari embrioni di band e io mi ritrovai a militare in quello che rispondeva al nome di Hidebehind. Questa formazione è andata avanti per qualche tempo proponendo un prog sinfonico dai toni un po' dark. Parallelamente agli Hidebehind prese forma la primissima line-up de Il Tempio Delle Clessidre col quale suonai per circa un anno per poi lasciare entrambe le formazioni per motivi personali. Successivamente entrai negli Armalite con i quali suonavo un neo-prog molto vicino agli IQ. Il sound era tanto orecchiabile quanto complesso ed era una gioia per me misurarmi con quegli intricatissimi brani. Purtroppo riuscimmo a registrare solo alcuni pezzi per delle compilation della Muséa e il loro album (composto molto prima del mio arrivo) non fu mai pubblicato... un vero peccato. Mentre suonavo con gli Armalite iniziai a pensare che dovevo dar vita a qualcosa di "profondamente mio". Fu a quel punto che assieme ad Alessio Calandriello e Andrea Orlando fondai il primo nucleo de La Coscienza di Zeno. Dopo qualche tempo la "mia" (finalmente!) band divenne un impegno davvero pressante e quando fu chiaro che non potevo più a lungo sostenere una doppia militanza, dovendo fare una scelta sacrificai -ovviamente- gli Armalite. Gli esordi di CdZ non furono semplici, ma dopo qualche tempo in cui girarono attorno al "mondo coscienzioso" un po' di musicisti, s'arrivò ad una formazione stabile che si mantiene grossomodo intatta dal 2007 ad oggi. Nel frattempo non posso non menzionare la mia presenza nei Not A Good Sign, con i quali registrai il primo disco omonimo, prendendo anche parte al loro debutto live a Milano. Gruppo impegnativo i NAGS, forse troppo per il sottoscritto. Le nostre strade si separarono poco dopo l'uscita del disco. Le mie condizioni di musicista pressoché autodidatta e di lavoratore a tempo pieno non erano compatibili con il contemporaneo impegno in due gruppi del livello de La Coscienza di Zeno e Not a Good Sign.
Oggi sono focalizzato solo ed unicamente su CDZ, profondendo in essa tutto l'impegno, le energie e il tempo che una persona che si guadagna il pane al di fuori della musica può permettersi. No, non sono riuscito ad essere sintetico. A volte mi è davvero difficile...

Tu sei un valente musicista/compositore e scrivi anche testi come ad esempio lo splendido “Il centro sottile” del primo disco de “Il Tempio Delle Clessidre”. Cosa ti offre più soddisfazione tra suonare e comporre versi?

Iniziai a scrivere testi alla superiori, d'altronde la ragioneria non è mai stata la mia passione e durante le lezioni noiose (cioè tutte) mi dilettavo a non ascoltare gli insegnanti scrivendo castronerie varie. Scrivere versi è bellissimo. Tempo fa era una mia valvola di sfogo, poi arrivò la musica suonata e da quel momento mi concentrai maggiormente nell'esprimere me stesso tramite il basso elettrico. A dire il vero non sono mai stato una persona che scrive testi in continuazione: sono poco prolifico sotto questo punto di vista ed altrettanto poco produttivo sono in quanto compositore; fortunatamente non ho alcun obbligo temporale e quindi attendo sempre la necessità di dire qualcosa (testo e/o musica) piuttosto che impormi di cavare a tutti i costi dal niente un'idea purchessia. Tornando alla domanda, credo comunque di provare più soddisfazione nel suonare piuttosto che nel comporre versi. Non saprei motivare con esattezza questa preferenza, forse potrei cercarla nella soddisfazione immensa che mi deriva dal comporre un brano e poi risentirlo arrangiato dal gruppo.

Quali sono le difficoltà e le gioie di essere membro di un ensemble tipo “ La Coscienza Di Zeno”, che ha sfornato recentemente un gioiellino discografico come “La notte anche di giorno”?

CDZ è foriera di gioie e di dolori, come tutte le cose. E' normale, fisiologico. In certi momenti sbranerei i miei compagni e altri in cui vorrei essere donna per poterli amare.  Di problemi ne esistono a iosa. C'è quello che vorrebbe percorrere una strada mentre il resto del gruppo decide diversamente, c'è quell'altro che attraversa un periodo "no" e manda a quel paese chiunque... ma, suvvia, sono dinamiche del tutto nella norma in un contesto umano composto da ben sette teste, per giunta totalmente indipendenti l'una dall'altra. Credo sia normale che in un gruppo non vada sempre tutto liscio. CDZ ha però sofferto di pochi contrasti davvero seri e questo ci ha portato ad avere una formazione piuttosto stabile nel corso degli anni. Questa stabilità (a differenza di altri gruppi che magari mutano faccia ad ogni uscita) ci ha permesso di maturare insieme, di capirci maggiormente e di integrarci meglio. Ecco come siamo arrivati a creare un lavoro complesso come "La notte anche di giorno". Il nostro terzo disco è composto da musica fondamentalmente orecchiabile ma molto più intricata dal punto di vista strumentale rispetto agli altri nostri lavori. Tutto questo non sarebbe stato possibile a fronte di troppi sconvolgimenti nella formazione. Alcune recensioni descrivono la nostra musica come "stratiforme": il primo ascolto è lo strato "orecchiabile", quello che ti può catturare subito, poi dal secondo ascolto in poi è tutto uno scoprire altri particolari. Queste recensioni ci hanno gratificato molto, perchè uno dei nostri obiettivi era esattamente quello di far sì che ogni ascolto risultasse diverso dal precedente. Utopia? Chissà. A quanto pare, però, l'obiettivo è stato raggiunto e la nostra gioia è impareggiabile. Altre gioie? I vari live che nel corso degli anni stiamo tenendo a ritmo abbastanza costante: è bello rivivere ogni volta le stesse battute, i soliti rituali pre-concerto e le forti emozioni che solo suonare musica dal vivo ti può dare. Insomma una delle grandi gioie del suonare per anni col medesimo gruppo di persone sempre è la complicità che si sviluppa col tempo. Complicità, il fattore che incrementa in modo esponenziale la creatività del collettivo.

Hai il prog tra le corde, ma ami altri generi musicali?

Assolutamente si. Non ho pregiudizi in merito ed ascolto un po' di tutto. Al di fuori del prog apprezzo soprattutto i cantautori italiani che nel corso degli anni hanno sviluppato anche un discorso musicale apprezzabile, senza focalizzarsi unicamente sui testi: Dalla, Fossati e De Andrè sono i primi (e i più famosi) che mi vengono in mente.
Non mi differenzio certo dalla massa nel momento dichiaro il mio grande amore per i Beatles e i Beach Boys e -più in generale- per tutta la musica contraddistinta da quella certa patina "vintage" così tipicamente sixities/seventies... fra le produzioni recenti provo piacere ad ascoltare alcuni dischi di post-rock, su tutti gli inarrivabili Godspeed You! Black Emperor. Apprezzo anche alcune cose di jazz, nella sua accezione più moderna... in particolare le produzioni della ECM sono autentici feticci per il mio personale sollazzo uditivo. Insomma ascolto di tutto. Sono ben consapevole che ascoltare solo prog, genere che diventa giorno dopo giorno sempre più manieristico, sarebbe molto limitativo e forse un po' noioso. Limitarsi ad ascoltare solo un genere è come avere due occhi sani e mettersi una benda per tapparne uno ed assomigliare a un pirata... insomma, nel 2015 sarebbe un po' da pirla.

Quale brano della storia della musica ti sarebbe piaciuto comporre e perché?

Sempre uno solo? E va bene. A dire il vero non passa giorno in cui, ascoltando una canzone, io non pensi "ah, questa l'avrei proprio voluta comporre io!", ma oggi risponderei "C'è tempo" di Ivano Fossati. In quel brano ci sono tutto l'amore e la nostalgia che una persona può provare in certi momenti, in quei versi si trovano tutte le speranze e i sogni che si possono ancora provare alla fine di giorni felici. "C'è un tempo perfetto per fare silenzio / guardare il passaggio del sole d'estate / e saper raccontare ai nostri bambini quando / è l'ora muta delle fate"
Non si può aggiungere altro.  Non si può descrivere in modo migliore la speranza che una persona cova il giorno successivo alla fine di un amore. Senza parlare del tema musicale che accompagna il lento recitato di Fossati: un brano perfetto che non manca mai di commuovermi ogni volta che l'ascolto. Oggi quindi rispondo "C'è tempo" di Fossati, ma domani potrei magari rispondere "Poisoned youth" degli England, due brani diametralmente opposti. Insomma ogni giorno l'idea varia, com'è normale che sia. La musica è umorale e col tempo le sensazioni che suscita mutano assieme ai desideri di una persona. Nella fruizione dell'Arte non esiste certezza alcuna, ma solo la consapevolezza di come ognuno vive l'Arte stessa.

Il disco della tua vita?

Nello scegliere il disco di un'esistenza mi dirigo verso "Forse le lucciole non si amano più" , senza titubanze né incertezze. Quando lo ascoltai per la prima volta fu come un fulmine a ciel sereno per me. La summa di tutto quello che cercavo in un disco era lì, racchiuso dentro a una copertina meravigliosa. Musica romantica e sinfonica senza cali di tensione, rivestita dalla voce di Leonardo Sasso che ti accoglie e ti mostra il mondo della Locanda delle Fate. Rimasi esterrefatto: un insieme di tecnica e cuore che raramente ho ritrovato in altri dischi. Certo, la Locanda non inventò nulla... ma come sostengo da anni, personalmente cerco Musica che mi porti a far vibrare le corde dell'anima e "Forse le lucciole non si amano più" è lo strumento adatto per osservarmi dentro e tirare fuori quello che a volte si vuole tenere dentro per paura. Il disco della vita non deve necessariamente essere un "White Album", è invece essere quello che meglio ti descrive.

Se qualcuno ti dicesse che sei “una testa di basso” (titolo di un vecchio disco di Saturnino, N.d.R) cosa gli risponderesti?

Ma magari!!! Per me sarebbe un bellissimo complimento, a quel punto saprei che tutti i miei sacrifici sono stati ripagati. Il fatto che qualcuno mi possa associare al mio strumento mi farebbe un enorme piacere. A dire il vero vengo semmai apostrofato come "quello che ha il Laurus"... il che non è proprio un complimento, visto che vengo identificato con uno strumento in mio possesso piuttosto che con i suoni prodotti dalle mie dita. Tant'è: nella musica mi tolgo delle soddisfazioni in frangenti diversi dalla tecnica e se un giorno qualcuno si ricorderà del mio nome non sarà certo perchè sono stato un innovatore dello strumento.

Il libro della tua vita?

Più che un libro, proporrei un racconto: "Nella Colonia Penale" di Franz Kafka. A mio avviso rappresenta il vertice della sua produzione e continua ad affascinarmi dai tempi delle superiori. Trovo oltremodo affascinante il suo raccontare di questa sorta di "rimanere appesi" scritta nel destino ineluttabile di ogni uomo. Ogni volta che ripasso questo scritto mi sale l'ansia, cresce l'apnea dell'incomprensibile. Ogni volta mi chiedo del perchè tutto accada. Mi chiedo se il racconto abbia un senso o se sia piuttosto un'idea estemporanea e successivamente elaborata ad arte per creare gli interrogativi che nascono dopo ogni dialogo tra i pochi protagonisti.Leggere poi dell'incomprensibile sadismo della macchina per le esecuzioni capitali ha il fascino oscuro proprio della Natura umana nelle sue espressioni più incontrollabili e sorprendenti. Sì, "Nella Colonia Penale" sarà anche cervellotico, ma rappresenta appieno le grigie e chiuse sensazioni dell'opera di Kafka.

Preferisci avere o essere?

Essere, ovvio. Come potrebbe essere diversamente, dato  il mio approccio "quasi minimalista" alla vita? Premesso che con "avere" si possono descrivere mille contesti, ad esser onesti non è che "avere" sia poi una cosa così schifosa, sia chiaro... ma non fa parte della mia natura. Per avere a sufficienza (ammesso e non concesso che si riesca ad avere "a sufficienza") dovrei cambiare Gabriele partendo dalle fondamenta e a quasi quarantadue anni non ne esistono né i  presupposti né il desiderio. In effetti, nemmeno in passato s'è mai palesata la voglia di ricercare un qualcosa di così lontano dal mio mondo. L'essere viene sempre prima anche e soprattutto per una questione d'onestà di base. E' una semplice questione di rispetto, quel rispetto dovuto ai vari interlocutori con i quali la vita ti porta a condividere vari tratti del cammino.

Estunno, la crasi tra le parole estate ed autunno, è un nickname che usi spesso. Il popolo del Prog sa che è chiaro riferimento al celeberrimo brano de La Locanda delle fate "Sogno di Estunno". Cosa rappresenta per te questo brano?

"E' strano sai, la pioggia che cade sul prato, i grilli cantano già / E' strano sai, l'estate ha mille colori che quasi non vedo più / E' strano sai avere tanta voglia di correre e muover piano i passi / Per non sciupare l'attimo di libertà".
"Sogno di Estunno", soprattutto nella frase che ho riportato, descrive con chiarezza e aderenza a dir poco sconcertanti alcune emozioni che a volte vivo e che adoro provare in solitudine. Dell'importanza che il primo disco della Locanda Delle Fate ha per me ho già detto prima e la scelta del nickname Estunno data a più di dodici anni fa. A quei tempi ero ancora un ragazzo (o dovrei dire un giovine fanciullo?) dall'anima molto sensibile. Ragazzo o fanciullo che fossi, ancora dovevo prendere un po' di pugni in faccia e questi momenti mi si presentavano spesso. Oggi la mia pelle è ben più dura rispetto agli anni in cui scelsi di chiamarmi Estunno e  si presentano sempre più di rado. Sono tuttavia certo che essi non spariranno comunque mai del tutto, perchè sono da sempre parte di me, della mia essenza.

Come vedi il tuo futuro musicale tra progetti, speranze ed utopie?

Il futuro sarà come il recente passato e quindi completamente dedicato a La Coscienza Di Zeno e al quarto capitolo della sua storia. Ho già le idee chiare al riguardo e a giorni il gruppo si riunirà per capire dove andremo a parare col nuovo disco. Fra le mie speranze legate  a questo nuovo lavoro si annida quello che forse resterà un sogno: una cover di "A Cynthia", della Bottega dell'Arte. Mi piacerebbe che nel prossimo disco ci possano essere delle sorprese ma ora, con "La notte anche di giorno" uscito solo pochi mesi fa, è davvero troppo presto per fare previsioni a riguardo. Utopie? Pensandoci bene, rifuggo da esse. Troppo cocenti le delusioni che ho patito per arrivare a capire che le utopie sono -per l'appunto- solo utopie. Meglio limitarmi alle speranze, anche perchè sono le ultime a morire e spesso si concretizzano. Gli ultimi anni di CdZ lo dimostrano ampiamente. Le speranze più grandi? Suonare al Loreley, negli USA e in Giappone! Sono speranze del tutto commisurate al valore della band e ai riscontri che il pubblico estero sta offrendoci, direi. 

In conclusione, consiglia ai lettori un brano ove hai suonato.

Per concludere ho scelto di consigliare quello che ritengo il brano più “coscienzioso” della Coscienza di Zeno … “Sensitività”. In questo brano trovo piacevole il suo sapore così retrò e legato ad un sottobosco del prog italiano meno conosciuto. Questo brano è uno dei regali che la Musica mi ha saputo donare e sono felicissimo di condividerlo con voi.






lunedì 6 luglio 2015

Giuseppe Scaravilli dei Malibran, alle porte della vitalità!

Ripropongo su questo blog, una mia intervista a Giuseppe Scaravilli già apparsa sul blog ufficiale del web magazine Mat 2020 http://mat2020.blogspot.it/2015/04/alle-porte-della-vitalita-giuseppe.html



Giuseppe Scaravilli dei Malibran, alle porte della vitalità! 

I Malibran sono tra i gruppi progressivi che, tra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta, hanno ridato dignità artistica ad un genere spazzato via dal periodo post punk.
Da ricordare, ad esempio, il disco capolavoro del 1993, “Le porte del silenzio”, che uscirà quest’anno remixato con bonus per Mellow Records, opera che si può già ascoltare gratis o scaricare a pagamento dal link: http://mellowrecords.bandcamp.com/album/malibran-le-porte-del-silenzio-remixed-new
Per approfondimenti sulla band vedi:
il sito ufficiale: http://www.malibran.itil blog: http://malibranprog.blogspot.it/2014/02/malibran-biografia_18.html
Negli ultimi tempi Giuseppe Scaravilli, cantante/flautista/chitarrista del gruppo, ha dovuto affrontare una prova estremamente ardua, quella in cui ha rischiato di non essere più tra noi. Questa strenua sfida gli ha lasciato strascichi fisici imponenti ed invalidanti rispetto ad essere nuovamente il classico front-man del gruppo.
Ora, a distanza di poco più di tre anni dal suo primo ricovero, Giuseppe ci ha concesso un’intervista che è utile ad approfondire la sua personalità e a spiegarci che il progetto Malibran e il suo leader sono più vitali che mai.


Giuseppe, come stai dopo il grave problema fisico del 2012?
Direi molto meglio, considerato il fatto che ho rischiato sul serio di andarmene! Ho subito l’asportazione del pancreas, ma, soprattutto, una successiva emorragia interna che mi ha mandato in coma per un mese, con conseguente lesione al cervelletto. Per questo oggi sono sulla sedia a rotelle, ho tremori alle gambe (se mi alzo in piedi) e alle mani, non parlo più in modo scorrevole. Però stavo molto peggio qualche tempo fa: oggi parlo meglio e riesco a camminare, se sostenuto da qualcuno o qualcosa. Ho ricominciato a suonare, sono in grado di salire le scale di casa (con il supporto delle ringhiere ravvicinate), mangio da solo e sono abbastanza autonomo. I medici hanno parlato di miracolo, dunque direi che non ho ragione di lamentarmi!

Quanto sono stati importanti i tuoi cari in questo periodo?
Moltissimo. Venivano a trovarmi ogni giorno in ospedale: questo per mesi interi. Anche in sala di rianimazione, nonostante io fossi in un altro mondo e non sapessi nemmeno che loro fossero lì. Quando sono “tornato”, poi, dormivano una notte ciascuno nella mia stanza d’ospedale, per assistermi in ogni momento. Al mio ritorno a casa hanno continuato a prodigarsi, senza lasciarmi mai solo. Mio padre è diventato in pratica anche uno dei miei fisioterapisti, il mio barbiere, il mio infermiere e, soprattutto, uno stimolo continuo ad osare di più. Ci pensa lui a prepararmi e a farmi assumere le varie medicine, giorno per giorno. A controllarmi la glicemia e a farmi le quotidiane quattro somministrazioni di insulina (naturalmente, non avendo più il pancreas, ho il diabete!). E’ sempre in giro per qualcosa che mi riguarda o per portarmi nei vari centri di fisioterapia. E pure in piscina, per qualche tempo. Di mia madre non parliamo nemmeno. Si sa come sono le mamme per i figli: bene, la mia di più. Tra l’altro, con me era così anche quando ero in salute, figuriamoci adesso!

Alcune persone uscite dal coma raccontano esperienze di percezione del mondo esterno nonostante il loro stato incosciente, a te è capitato?
Sì. Mi hanno fatto ascoltare musica in cuffia, mentre ero in coma ma non ho sentito niente. Però, in qualche momento, devo aver percepito e visualizzato le persone che mi stavano intorno, infermiere ed infermieri. Tanto è vero che entravano nei miei sogni (non sempre piacevoli), seppur trasfigurate in altri personaggi. Forse mi trovavo nella fase conclusiva del coma. Fatto sta che, in seguito, ho scoperto che quelle persone erano reali. Nel mio mondo mi trovavo su una sorta di traghetto-ospedale, che attraversava di continuo lo Stretto di Messina, avanti e indietro. Sopra c’erano non solo le attrezzature ospedaliere, ma anche grandi videogiochi per i figli dei pazienti. Veramente assurdo! Il direttore dell’ospedale era anche il comandante della nave.

Facciamo un salto a ritroso, alla tua infanzia, il tuo sogno nel cassetto da bambino qual era?
Facevo disegni a fumetti, certamente mi sarebbe piaciuto, se questo fosse diventato un giorno il mio lavoro. La passione per la musica è arrivata dopo. Avevo anche scritto e mandato alcune mie tavole a Sergio Bonelli (Tex, ecc.) il quale gentilmente mi aveva risposto: invitandomi però, pur apprezzando, a non rischiare e a pensare prima agli studi, perché il settore era in crisi e anche disegnatori esperti trovavano difficoltà ad inserirsi. Così mi sono diplomato al Liceo Classico e in seguito laureato in Legge. Ma non era questo il mio sogno nel cassetto. Sono avvocato ed ho insegnato Diritto. Sfortunatamente, però, la mia passione era la Storia, quella è la materia che avrei voluto insegnare! Credo proprio che sarei stato felice, al di là del tanto vituperato stipendio esiguo. Sono a mio agio coi ragazzi, specie se parlo di cose che mi piacciono. Non di Diritto, dunque! E la sera avrei continuato a suonare in giro. Ad ogni modo, oggi, senza poter più guidare, camminare e parlare bene, sarebbe stato un bel problema in ogni caso, per quanto io possa ancora migliorare. Ma è inutile piangere sul latte versato, giusto?

Andiamo avanti un po' di anni e sei adolescente, avevi un desiderio predominante in quella delicata ma affascinante fase di crescita?
La passione per il disegno, della quale parlavo sopra, si poneva a cavallo tra infanzia e adolescenza. Leggevo i fumetti e ne volevo realizzare di miei. Poi mi ha preso l’ascolto della musica, e allo stesso modo ho voluto anche farla. Ad un certo momento questi miei due interessi si sono incrociati, quando ho realizzato la storia dei Led Zeppelin a fumetti. A quel punto, però (siamo nel 1988) erano già nati i Malibran e la mia attenzione si era rivolta totalmente al gruppo. Oltre a comporre, cantare e suonare diversi strumenti, ero anche un po’ il manager della band: trovavo le serate, i contatti per fare i dischi, organizzavo le prove e andavo in giro ad attaccare locandine per pubblicizzare i nostri concerti. Abbiamo fatto otto dischi ufficiali (compresi due “live” ed uno di rarità varie), più un DVD antologico, non mi sarei mai aspettato tanto. Il tutto sempre nell’ambito del Rock Progressivo, traendo ispirazione dai grandi gruppi degli anni ’70, ma creando un sound che ritengo sia tutto nostro. Il secondo lavoro dei Malibran (“Le Porte del Silenzio”) è stato definito forse il migliore del Prog italiano anni ’90. Abbiamo suonato con il Banco Del Mutuo Soccorso, gli Osanna, Il Balletto di Bronzo e tanti altri. A molti giovani questi nomi risulteranno sconosciuti, ma per chi ama il genere, sarebbe come essere un fan degli U2, ritrovarsi a suonare con loro avendo Bono e The Edge in macchina (come, nel mio caso, Francesco Di Giacomo e Vittorio Nocenzi), cenare insieme e vedersi trattato come loro amico e collega. La nostra musica ci ha condotti a suonare anche in America, altra cosa che sarebbe stata inimmaginabile quando abbiamo cominciato. Avremmo anche dovuto aprire il concerto dei Jethro Tull a Palermo (nel 2003) e della PFM a Catania (nel 2004), ma entrambe le occasioni sono sfumate all’ultimo minuto. Sempre a Catania, nel 1996, ci siamo esibiti di fronte a ventimila persone, salendo sul palco subito prima di Gino Paoli ed Edoardo Bennato.

Parliamo dell’oggi, hai un sogno musicale che ti piacerebbe realizzare?
Il sogno si è già realizzato ed è quello di riuscire a suonare ancora, sia a casa mia che con i Malibran. Un neurologo aveva confidato ad un amico comune che difficilmente sarei stato più in grado di farlo, a causa della lesione al cervelletto -organo che sovraintende ai movimenti- e in caso di non funzionamento porta ad avere le dita tremanti, deboli e non coordinate tra loro: all’inizio, infatti, non riuscivo più a fare una sola nota, con la chitarra. La suono dal 1980 e non ero più in grado di fare niente! Del resto, non riuscivo neanche a chiudere le mani per fare il pugno. Invece, poco alla volta, sono riuscito a suonare di nuovo. Non come prima, certo, ma suono la chitarra acustica ed elettrica, da solo accompagnando i dischi. Anche se non riesco più a fare arpeggi, parti soliste veloci e accordi complessi. Con il gruppo mi è risultato più facile suonare il basso e così ho cambiato “ruolo”, almeno in concerto. Con il flauto traverso è tutto più difficile, perché è uno strumento che si deve tenere in equilibrio, sospeso per aria, mentre chitarra e basso offrono l’appoggio stabile del manico. Ho perso anche un bel po’ di voce e non sono in grado di pronunciare parole ravvicinate tra loro. Così i nuovi Malibran sono una band solo strumentale. E del resto, ritengo che sia sempre stato questo il nostro punto di forza, non certo la mia voce. Ho scelto e arrangiato i brani in modo da poterli suonare senza problemi. E i risultati sono buoni, anche a giudicare dalla reazione del pubblico ai nostri spettacoli!

Hai materiale inedito ancora a disposizione dopo il disco - di fatto “solista” –Trasparenze del 2009?
Sì, moltissimo materiale. Sette CD inediti già pronti, in pratica, tra brani registrati in studio ma non pubblicati, live e cover. Molto di questo materiale è reperibile sul nostro “Malibran Official Blog” e su YouTube, insieme a tanti video, con la band in concerto o in TV. La Mellow si sta occupando della ristampa (con mix diverso) del nostro secondo disco. Ma conto anche di far pubblicare “Straniero”, una corposa raccolta di “rari ed inediti”, tutti registrati bene, lungo 80 minuti. Sarebbe un peccato tenerlo solo per me.

Hai riformato il gruppo chiamandolo “Malibran ensemble”: puoi illustrarci in sintesi questo progetto?
Si tratta sempre dei Malibran. Ho aggiunto “ensemble” perché ora la scaletta è tutta strumentale, come se si trattasse di un gruppo Jazz, che invece suona Prog. Inoltre la formazione è cambiata, ed essendo rimasto fuori il bassista “originale”, era giusto dare il segno di un nuovo corso, anche per non avere problemi con lui, che non l’ha presa bene. Ma io, Alessio e Jerry siamo sempre presenti, dal 1988 ad oggi, e dal 2013 si è aggiunto Alberto alle tastiere. Siamo due coppie di fratelli!

Quali brani del Prog Internazionale e /o Italiano ti sarebbe piaciuto comporre e per quale motivo?
Dovrei fare un elenco troppo lungo. “Starless” dei King Crimson, “Maggio” de Le Orme, “Firth of Fifth” dei Genesis, “Man-Erg” dei Van Der Graaf Generator, “Minstrel in the Gallery” dei Jethro Tull, “La Conquista della Posizione Eretta” del Banco, “River Of Life” della PFM, giusto per citare un titolo per ognuno dei miei gruppi preferiti. Il motivo per me risiede solitamente nella bellezza della musica, mentre bado meno ai testi. Anche ai miei! Però in questi giorni ascoltavo “Figure di Cartone” de Le Orme e notavo che ha un testo proprio toccante, perfetto e commovente. Mi sono reso conto dell’importanza dei testi solo quando la PFM ha accompagnato De Andrè, alla fine degli anni ’70. E il testo più bello della stessa PFM rimane sempre quello di “Impressioni di Settembre”, che però è di Mogol: un vero dipinto in parole, evocativo e descrittivo insieme. Anche qualcuno dei miei testi mi piace, ma, ripeto, tendo a seguire più la musica. E, da questo punto di vista, io, ascoltando un brano, “sento” la voce come uno degli altri strumenti: devono attirarmi timbro, interpretazione e linea melodica. Poi, se il testo è anche bello, meglio!

Se dovessi inviare tre dischi di Rock Progressive nello Spazio per diffonderli nell’universo quali sceglieresti e perché?
Ma… nello Spazio andrebbero perduti! Di solito si parla di dischi da portarsi sull’isola deserta… scherzi a parte, capisco cosa intendi. Ed è un’altra domanda cui è difficile dare una risposta, per il semplice fatto che riempirei lo Spazio di dischi! Invierei comunque i primi tre dischi del Banco, quelli della PFM fino al 1977, più “Stati di Immaginazione” (di 30 anni successivo). Ancora, i dischi dei Jethro Tull, dal 1968 al 1978, live compreso. I King Crimson del primo disco e del periodo ’73-74. I Genesis da “Trespass”(1970) fino a “A Trick of the Tale” (1976). Le Orme dal 1971 al 1977, con speciale menzione per il brano “Sera” (1975). “Forse Le Lucciole Non si Amano Più” (1977) de La Locanda delle Fate, ed il brano “Vorrei incontrarti” dell’Alan Sorrenti periodo “Progressive”. “Dolce Acqua” (1971) e “Viaggio negli Arcipelaghi del Tempo” dei Delirium. I dischi anni ’70 dei Van Der Graaf, con speciale citazione per “World Record” (1976), che me li ha fatti conoscere. “Vemod” degli Anekdoten, coi quali abbiamo suonato nel 1994. Le cose meno ostiche degli Area e quasi tutti i Pink Floyd, con menzione speciale per “il disco perfetto”, cioè “The Dark Side Of The Moon” e del brano “Echoes”. Fuori dal Prog, molte cose dei Deep Purple anni ’70, sia con Gillan che con Coverdale. I Led Zeppelin fino a “Presence” (1976”), i pochi dischi dei Free, i primi due dei Black Sabbath (entrambi del 1970), più “Sabbath Bloody Sabbath” (1973). E se mi è consentito, invierei anche una buona compilation dei Malibran!

Ti propongo un gioco, scegli una tra queste due opzioni e se hai voglia di commentare brevemente lo puoi fare…

Mare o Montagna?
Abito in Sicilia, ma non vado mai al mare. In media ci andavo una volta ogni estate! Non amo il caldo, né le spiagge con gli ombrelloni. E ancora meno il viaggio per arrivarci! Non invidio chi si mette disteso a cuocere per abbronzarsi: io soffrirei, e mi annoierei pure a morte. Né mi piacciono le ragazze troppo abbronzate! Mio fratello (batterista dei Malibran) è l’esatto opposto: d’estate va al mare tutti i giorni, anche da solo!
A me piaceva solo quando ero piccolo. Posso dire che sono stati piacevoli, quanto sporadici, alcuni bagni notturni. Mi piace il mare dei documentari, delle navi o quello degli antichi velieri dei film. Ma, d’altra parte, non posso dire di andare neanche in montagna! Sto bene a casa mia. Ed è un bene, considerata la mia condizione attuale! Anche viaggiare non mi piaceva più quando ero ancora in piena salute. E in realtà, a parte le gite scolastiche, partivo solo per andare a suonare, o per andare a vedere i miei gruppi preferiti (i Jethro Tull li ho visti otto volte, i Deep Purple tre (anche nella formazione di “Made in Japan”). Ma ho fatto in tempo anche a vedere i Pink Floyd, Page & Plant, i Genesis, Peter Gabriel nel tour di “So” (1987), Joe Cocker e tanti altri. A pensarci bene non ho mai fatto viaggi “di piacere”, come semplice turista.

Sole o Luna?
Direi luna, dopo quanto detto sopra! Sole, soltanto se devo suonare all’aperto, per non avere l’ansia di eventuali piogge che possano rovinare tutto! Mi è piaciuto tanto suonare di giorno, quando è capitato. E, in questo caso, evviva il sole!

Realtà o Fantasia?
Per il tipo che sono io, fantasia. Ho frequenti contatti con la realtà, e voglio averli. Seguo anche TG e Talk Show politici. Ma di solito galleggio in un mondo di fantasia e queste sono solo provvisorie interruzioni.

Essere o Avere?
Sicuramente essere. Mi è sempre bastato quello che ho avuto, mentre ho sempre cercato di alimentare spirito e cultura. Non solo musicale. Probabilmente tutto questo non mi ha giovato, ma sono fatto così. Non ho mai avuto interesse per soldi o macchine nuove. Magari per molti è così. Per me no.

Psiche o Soma?
Direi Psiche.

Chitarra o Flauto?
Mi sento soprattutto un chitarrista. Il flauto per me è arrivato dopo. Ho imparato entrambi gli strumenti suonando sui dischi, affinando l’orecchio musicale. So quale è la nota giusta e come suona, ancora prima di toccare il relativo tasto. Una volta, a casa di un mio zio, c’era il rumore di un trapano, ho detto che, a mio avviso, stava emettendo un suono in re: ho suonato il pianoforte che era lì accanto, ed era effettivamente un re. E’ come un dono. Comunque, come flautista sono stato apprezzato moltissimo, dopo che Giancarlo ha lasciato il gruppo: lo suonavo già a per conto mio, sui dischi dei Jethro Tull, così ho assimilato quel tipo di tecnica. Giancarlo invece, avendo studiato sul serio lo strumento, aveva un suono più pulito ed “accademico”, nonostante sul palco apparisse come una furia, coi capelli lunghi al vento! Insieme dal vivo l’unico pezzo che suonavamo a due flauti era “Magica Attesa”. Quando lui ed il tastierista hanno lasciato la band, nel 2001, ho dovuto occuparmi anche del flauto, e sono migliorato nel tempo. In sala mi piace armonizzare più flauti tra loro, approfittando della possibilità delle sovra-incisioni: viene fuori una sorta di orchestrina di fiati, molto gradevole.

Jazz o Blues?
Blues. Anche l’Hard Rock che ascolto (o suono) ha radici Blues. Per questo non arrivo al Metal. Nonostante un mio pezzo, “Vento d’Oriente”, è stato definito “Prog Metal”, a me ricorda piuttosto cose tipo “Kashmir” degli Zeppelin. Con il Jazz ho provato, mi sono pure abbonato ad alcune rassegne, anni fa. Voglio essere aperto a tutto, ma se è Jazz puro, non contaminato, non capisco niente, riesco solo a seguire la batteria. Avverto che i musicisti sono bravi, ma quanto ad emozioni, più o meno… non pervenute. Mi dispiace, perché vorrei godere di tutta la musica che esiste. Mi “arriva” qualcosa di più con la musica classica, anche perché amo il suono dell’orchestra. Ma non in dosi massicce. Mio padre ascolta Mozart da quando sono nato, è musica per me familiare, anche se poi non vado a comprarmi i dischi…

Cd o Vinile?
Dicono che il vinile si senta meglio, che il CD appiattisca certe frequenze e che abbia un suono meno caldo. Sono grande abbastanza da aver vissuto in pieno l’era del vinile (era in vinile anche il nostro primo disco, uscito nel 1990). Ma, ormai, non ho più modo di ascoltare i vecchi dischi, anche se sono ancora nella mia stanza, ho solo lettori CD, pertanto non ho modo di cogliere le differenze. So che gli “audiofili” ascoltano solo dischi in vinile. Mi fa piacere sentire che stia un po’ tornando a circolare. Il CD, invece, sembra destinato a durare meno del previsto, rimpiazzato da altri “supporti”. Però a me piace: desidero avere non solo la musica, ma anche la copertina (che magari preparo io, se non si tratta di un originale), i titoli, i nomi dei musicisti, sapere dove è registrato il lavoro, ecc.

Live o Studio?
Ascolto più musica live che in studio, in effetti. Amo i concerti dei gruppi che preferisco, che siano registrazioni ufficiali o meno. Una volta ascoltavo cassette registrate dal pubblico, di pessima qualità. Adesso preferisco procurarmi registrazioni dal mixer, magari migliorando io stesso il suono, per mezzo di un programma che ho sul PC. Mi piace personalizzare queste cose, fare da me le copertine, mettendo le foto del periodo, se non proprio di quella data specifica. Cerco di avere almeno un concerto registrato dal mixer per ogni tour delle band che amo. E degli stessi Malibran ho passato su CD circa 50 serate. L’ho fatto per me, ma qualche nostro fan più accanito (ne ricordo uno dalla Germania) me li ha richiesti tutti, spendendo anche un bel po’ di soldi!

Carmen Consoli o Vincenzo Bellini?
Ho frequentato Carmen Consoli per molto tempo, negli anni ’90, prima che divenisse veramente famosa. Non posso dire lo stesso di Vincenzo Bellini, dal momento che non ho avuto la ventura di vivere nei primi decenni del 1800. Anche se mi sarebbe piaciuto. Ho conosciuto Carmen dopo un nostro concerto del 1991, quando è venuta da me per congratularsi per il mio modo di suonare la chitarra. Non era una di quelle ragazze che vanno dal cantante perché è “carino”, e parlava con cognizione di causa. Non amava il Prog, ma i Malibran sono stati sempre molto Rock, e così lei veniva a vedere noi, ed io a vedere lei, quando suonava con la sua blues band (i “Moondogs”) o accompagnata solo da un chitarrista. La prima volta sua voce mi ha sorpreso: era intrisa di Soul e Blues (faceva cover) ed era molto potente, considerata l’età e l’aspetto minuto. Aveva 16 o 17 anni. Si trasferì a Roma, ma tornò delusa. Era ancora alla ricerca di una sua vocalità. In effetti la sua voce poi è cambiata, ha trovato una “chiave” tutta sua. All’epoca, quando finivamo di suonare, saliva pure sul palco per abbracciarci, entusiasta. Al telefono mi diceva che stavamo per “esplodere”, eravamo nel periodo tra il primo ed il secondo disco. Ma ad esplodere davvero è stata lei: l’altra volta era ospite a “Che Tempo Che Fa”, su RAI 3, una trasmissione nella quale si sono esibiti Sting, Madonna, Robert Plant e gli U2. Naturalmente all’epoca non ci avrei creduto. Ma era davvero molto determinata. Si andava a casa sua, tra pizze e chitarre acustiche. Le ho prestato una VHS dei Free che non aveva mai visto ma che le piacevano molto. Durante un suo concerto mi dedicò un loro brano (Mr Big). Ho ancora un suo libro di Poe che mi aveva prestato, ma purtroppo ci siamo persi di vista e non ho potuto restituirglielo. Ci siamo incontrati di nuovo solo nel 2000, all’aeroporto di Catania, mentre noi partivamo per gli USA e lei per Bari. E in poche altre occasioni. In anni più recenti la stavano premiando, era circondata da fans e giornalisti: eppure, quando mi vide, devo dire che scansò tutti per venire a salutarmi. Ma anche con Vincenzo Bellini i Malibran hanno un punto di contatto: Maria Malibran, mezzo-soprano dell’800, cantava le sue Opere. Qualcuno dice che avesse una passione nei suoi confronti, al punto che, alla notizia della morte di lui, si uccise a sua volta, lanciandosi follemente al galoppo, fino a cadere malamente. Non so se sia vero, ma anche Francesco Di Giacomo, la voce del Banco, una volta mi disse che la Malibran era morta cadendo da cavallo, aggiungendo, con la sua ben nota ironia tutta romanesca: “Eh, se allora ce fossero stati i taxi”…

Solista o Band?
Diciamo che sono stato anche “solista nella band”, se parliamo di me. Infatti diversi dischi dei Malibran contengono brani composti e suonati solo dal sottoscritto. Pezzi che spesso gli altri non avevano neanche mai sentito, fino alla pubblicazione (!). Lo stesso “Trasparenze”, il nostro ultimo CD ufficiale, è in realtà un mio lavoro solista, come dicevi, con alcuni ospiti, tra i quali qualcuno dei Malibran. Ma l’etichetta ha insistito perché uscisse a nome “Malibran”, alla fine, dal momento che il sound era quello e tre su quattro di noi erano presenti (più l’ex Giancarlo al sax), ho acconsentito. Ma avevo già composto e suonato tutto il disco, gli altri hanno (ottimamente) contribuito venendo in sala solo una volta, seguendo le mie “istruzioni”. Ricordo comunque con più piacere i tempi dei primi dischi, quando era più un lavoro di squadra. Già con “Oltre L’Ignoto” (2001) ad essere presente in sala, con il fonico, spesso c’era solo uno di noi. E indovinate chi era? Non parliamo poi del lavoro per la grafica per ogni disco, del quale mi sono sempre occupato in prima persona. Magari con l’aiuto di qualche amico, ma senza nessuno della band. Peccato, perché mi sarebbe piaciuto. Oltre al nome stesso del gruppo, inoltre, sono anche miei i titoli di tutti i nostri dischi e dei singoli brani, oltre al loro ordine su ciascun disco. E i testi, naturalmente, oltre che un bel po’ delle musiche. In ogni caso, ritengo che i veri talenti dei Malibran siano Alessio alla batteria e Jerry alla chitarra solista. Soprattutto considerato il fatto che non suonano mai, se non quando abbiamo una data in vista! Io ho invece una maggiore visione d’insieme, una passione certamente più maniacale, la fortuna di essere anche compositore, polistrumentista, ed arrangiatore.

Cinema o Televisione?
Entrambi. Sono andato al cinema ogni martedì con una ex compagna del Liceo, per non so quanti anni. Ma tutto si è bruscamente interrotto tre anni fa, quando sono stato male. Adesso non sarei più nelle condizioni, mi rimane la TV. Anche per vedere quei film che altrimenti avrei visto al cinema. Per fortuna ho un bel TV Color, nella mia stanza, collegato pure alle casse dello stereo. E’ grande e si vede benissimo. Così non è il cinema quello che mi manca di più, ad essere sinceri. E magari, più in là, sarò nelle condizioni di andarci di nuovo. Forse potrei anche adesso, ma, considerati “pro” e “contro”, temo che non ne varrebbe la pena.

Pittura o Scultura?
Direi pittura, anche per via dei miei “trascorsi” di disegnatore. Ma dipende anche da quale pittore e da quale scultore. In Italia abbiamo avuto artisti eccelsi in entrambe le forme d’arte. Specie nel Rinascimento.

Romanzo o Racconto?
Ho apprezzato entrambi, ma leggevo di più prima di stare male. Soprattutto riviste e libri attinenti alla storia o alla musica. Mi piacciono le biografie dei gruppi Rock con belle foto a colori. Io stesso ho scritto il mio racconto, riguardante le mie “vicissitudini” ospedaliere. Dicono che scrivo bene. Ma la musica è presente anche lì. Ampliandolo, il racconto potrebbe anche diventare un libro. Leggevo molti romanzi. Adesso non più. Magari ricomincerò, chi può dirlo? Da piccolo ho divorato tutti quelli di Salgari attinenti al “Ciclo Malese”(Sandokan) e a quello del Corsaro Nero. Poi ho letto tutti i racconti di Poe, traducendone qualcuno a fumetti, compreso l’unico romanzo che aveva scritto, “Le avventure di Gordon Pym”. Lui non fece in tempo a completarlo, a concluderlo fu Giulio Verne, per quel che mi ricordo. Ma nel fumetto io avevo ideato un mio finale. Ho letto molto Camilleri e Baricco. Adesso mi hanno regalato tantissimi libri, ma non saprei da dove cominciare. Anche perché ci vedo pure meno! Colpa del diabete?

Pasta con le sarde o Granita alla siciliana?
Appunto, si diceva del diabete! Granita, comunque. La prendevo al bar ogni mattina, in estate, con gli amici. Ora non dovrei, ma qualche dolce me lo concedo ancora e ci scapperà anche la granita, con quegli stessi amici! Ogni tanto vengono a prendermi e andiamo a prendere la pizza…

In Giuseppe le porte della vitalità sono spalancate, che l’armonia accompagni a lungo il suo cammino musicale e non solo.

Ecco i Malibran Live 2014 con La città sul lago